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Il diritto di asilo al vaglio della Cassazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18549 del 25 novembre 2006, precisa contenuti e contorni del diritto di asilo, riconosciuto nell’ordinamento internazionale come diritto dell’individuo al quale non si correla, però, un dovere degli Stati di concedere l’asilo.
Esso trova fondamento nell’art. 10 Cost., il quale, nel garantire tale diritto a chiunque provenga da un Paese in cui non è consentito l’esercizio delle libertà fondamentali – indipendentemente dalla circostanza che abbia subito o tema persecuzioni – ne demanda la disciplina al legislatore ordinario, al fine di evitare un ingresso indiscriminato di esuli nel nostro territorio.
La mancata adozione della prevista disciplina di attuazione non impedisce peraltro l’esercizio del diritto in questione, avuto riguardo al carattere immediatamente precettivo della norma costituzionale.

La Corte ritiene, infatti, che anche le domande di asilo ex art. 10 Cost. rientrino nel campo di applicazione della vigente legislazione in tema di riconoscimento dello status di rifugiato, in particolare per quanto riguarda il rilascio del permesso di soggiorno provvisorio, nell’attesa che sia accertata la sussistenza dei requisiti per il riconoscimento dello status in questione, e il divieto di espulsione nelle more.
Secondo la Corte “l’art. 10, terzo comma Cost., attribuisce direttamente allo straniero, il quale si trovi nella situazione descritta da tale norma, un vero e proprio diritto soggettivo all’ottenimento dell’asilo, anche in mancanza di una legge che, del diritto stesso, specifichi le condizioni di esercizio e le modalità di godimento”(Cass. SS.UU. 4674/97).
Il diritto di asilo deve pertanto intendersi come diritto soggettivo di accedere al territorio dello Stato, al fine di esperire la procedura per ottenere lo status di rifugiato, e non ha contenuto più ampio del diritto di ottenere il permesso di soggiorno temporaneo, previsto dall’art. 1, quinto comma, del decreto-legge n. 416 del 1989, convertito, con modificazioni, nella legge n. 39 del 1990, per la durata della relativa istruttoria.
Sebbene le due categorie considerate – asilo e status di rifugiato – siano ontologicamente distinte nella nozione, nel contenuto e nell’onere della prova, non richiedendosi all’asilante la prova del presupposto della persecuzione, le stesse sono comunque accomunate dal medesimo iter procedimentale, in ragione delle esigenze di ordine e sicurezza pubblica, che pure sono valori costituzionalmente rilevanti.
Di conseguenza l’esito negativo della procedura per il riconoscimento dello status di rifugiato priva di qualsiasi giustificazione il permesso di soggiorno, essendo quest’ultimo strumentale a consentire la permanenza nel territorio dello Stato solo fino all’esito della procedura.
All’Autorità giudiziaria ordinaria, in caso di ricorso avverso il diniego dello status di rifugiato, compete, infine, l’accertamento dell’esistenza dei presupposti dell’art. 10, terzo comma della Costituzione, ed in caso di accoglimento allo straniero dovrà essere riconosciuto un diritto di soggiorno derivante direttamente da tale norma, in conseguenza del quale egli non potrà essere allontanato dal territorio dello Stato.
Il diritto al soggiorno per richiesta d'asilo quindi è subordinato alla durata della relativa istruttoria amministrativa o giudiziale e nel caso di esito negativo viene meno la giustificazione al possesso del titolo di soggiorno, essendo quest’ultimo strumentale a consentire la permanenza nel territorio dello Stato solo fino all’esito della procedura.

La sentenza

 

30 dicembre 2007