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Pietro Magenta «prefetto restitutore della sicurtà pubblica»

Pietro magentaPietro Magenta è figura del nostro Risorgimento di particolare spessore: uno di quei protagonisti di seconda fila che consentono ai giganti della Storia di compiere le grandi imprese. Nato in Lomellina, a Gambolò, il 5 gennaio 1807 in una famiglia di antiche origini[1], ebbe per avo Pio Magenta prefetto napoleonico[2]. Il padre Giovanni Battista era un affermato ingegnere, la madre Maria Cantoni apparteneva a una stimata famiglia di Gropello e per molte ragioni d’interesse e affetto i Magenta si legarono ai Cantoni e ai Cairoli[3].

Pietro compì gli studi di legge a Torino laureandosi nel 1832. Dopo un periodo di pratica nell’Avvocatura dei poveri, entrò come volontario nella prestigiosa Amministrazione dell’Interno avviandosi a una brillante carriera: nel 1838 fu nominato sotto-intendente di Oneglia, da lì passò a Ivrea, Genova, Novara.Quasi quarantenne sposò Clara Bo figlia del direttore generale della sanità marittima del Regno di Sardegna[4].

Alla fine del 1847 fu promosso intendente e destinato a Spezia[5]. Lì nel 1849 dovette affrontare momenti difficili dopo la sconfitta di Novara: Vi fu un momento in cui la provincia di Spezia trovossi fra il triumvirato rivoluzionario di Genova e la dittatura toscana, che naturalmente cercavano invadere quel punto che dovea servir loro d’anello di congiunzione.
Magenta era rimasto senza un solo soldato a tutela dell’ordine; non per questo si sgomentò, ma ricorse a tutti i più opportuni ripieghi, onde tener fronte alla rivoluzione invadente [...] Vi fu un momento in cui tutte le migliori disposizioni, le precauzioni più diligenti, parvero divenute inutili e si fu quando sviata sugli Appennini Liguri giunse alla Spezia la legione lombarda, ansiosa di portare aiuto alla rivoluzione di Genova. Vide il Magenta essere importantissimo allontanare quel corpo di truppa e prendere intanto tempo; onde fattosi innanzi alla stessa, facilmente poté persuaderla ad imbarcarsi per Livorno ed andare in aiuto di Roma, allora di già minacciata da Francia. Il partito venne accettato; la provincia fu sgombera da quelle truppe, e quando dopo una settimana un piroscafo francese che avea catturato il legno che trasportava la legione lombarda, riportolla alla Spezia, i moti di Genova erano stati repressi[6].

 

Dopo Spezia, nel maggio 1849 Magenta fu mandato nel Monferrato a Casale. Anche lì c’era delusione e agitazione per la disastrosa conclusione della guerra all’Austria. Il nuovo intendente dovette porre in essere un’abile azione per guadagnare consenso e lo fece avviando apprezzate iniziative come il riordino delle opere pie e il miglioramento dell’organizzazione scolastica. Quanto alle prime, s’impegnò innanzitutto a porre rimedio agli abusi in quanto non sempre i beni erano amministrati secondo le tavole di fondazione; per questo affrontò seri contrasti con l’autorità ecclesiastica che storicamente aveva in mano la gestione delle opere pie[7]. Nel campo dell’istruzione, grazie al suo interessamento, furono aperte scuole elementari femminili, “scuole applicate alle arti” (così allora con bel nome si chiamavano gli istituti tecnici) e, infine, l’Istituto Agrario Casalese che acquistò rinomanza e prestigio anche oltre i confini locali. Un altro suo campo d’intervento, secondo le idee di progresso e modernità che in quel tempo s’affermavano, furono le rotabili stradali e ferroviarie. Per impulso dei consigli provinciali e dei comuni di Casale Monferrato e di Vercelli, si formò una società allo scopo di costruire in concessione una ferrovia che, partendo da Vercelli e toccando Casale Monferrato, arrivasse a Valenza collegandosi con la linea statale Alessandria-Novara. La tratta, inaugurata nel 1857, fu giudicata di particolare importanza in quanto congiungeva importanti fortificazioni militari e si rivelò decisiva nella seconda guerra d’indipendenza per il trasferimento dell’armata francese sbarcata a Genova[8].

Nel marzo 1852 arrivò per Magenta la promozione a intendente generale con destinazione Cagliari: era messo a capo di una delle divisioni amministrative del Regno, corrispondenti a qualcosa di più delle odierne province. Egli s’impegnò a dare impulso ai lavori pubblici: case comunali, scuole, strade, acquedotti, cimiteri. Curò il riordinamento degli archivi pubblici, sollecitò gli enti locali ad assicurare le condotte mediche e ostetriche che mancavano in molte comunità rurali, promosse l’adozione dei regolamenti di polizia e intervenne decisamente contro l’uso di seppellire i morti nelle chiese. Fu tra i primi a promuovere in Sardegna rilevazioni statistiche, sottolineando «quali grandi vantaggi avesse ottenuto l’isola dopo che eransi abbattute quelle barriere doganali frapposte fra essa ed il continente»[9]. Tra i problemi di sicurezza, sempre importanti, l’intendente generale
affrontò la faida che, nel paese di Guspini, vedeva contrapposti clan mossi da gelosie familiari, spirito di vendetta per presunti torti, dispute patrimoniali. Quella lotta intestina e perciò ancora più feroce aveva già provocato molti lutti ma l’intervento personale di Magenta riuscì a imporre un armistizio. Nel luglio 1855, al tempo della spedizione in Crimea, egli contribuì a sventare un piano teso a provocare la ribellione delle reclute sarde, malcontente di partire per quel paese lontano e sconosciuto[10]. Successiva tappa professionale di Pietro Magenta fu Chambéry sede anch’essa di Intendenza generale, dove arrivò nell’aprile 1856. Quella terra era la culla della famiglia reale ma dava non pochi grattacapi al governo:

Il partito costituzionale era in Savoia scoraggiato e abbattuto. I retrivi, gli assolutisti, i separatisti, formavano le frazioni di un partito attivo, influente e potentissimo, reso compatto dal clero che ne dirigeva le mosse e ne formava il cardine [...] Maggiore influenza che in ogni altro luogo avea il clero in Savoia, dominando nei consigli comunali, provinciali e divisionali; indirizzando la pubblica istruzione allo scopo che si proponeva; imperando nei collegi elettorali, valendosi dei mezzi delle opere pie, erigendo a tribune il pergamo e il confessionale [...] Il conte Pillet-Will, unico superstite di una ricchissima famiglia savoiarda, eraper quelle provincie una seconda Provvidenza; non meno di 150 mila e persino 200 mila lire venivano annualmente spese da quel personaggio in opere di beneficenza. È superfluo dire che queste somme passavano tutte o quasi a mani del clero e formavano così per lo stesso un nuovo elemento di possanza e di influenza. Magenta volle conoscere una sì degna persona, sperando far prendere a questo fiume di beneficenza una diversa corrente. Essi si videro, si conobbero e si stimarono[11]

Per i laici la scuola doveva diventare la “chiesa dei tempi moderni”, strumento fondamentale per contrastare l’influenza del clero sulle masse specie contadine. Dunque, cultura e scienza sostitutive della fede. I cattolici in linea di principio contestavano l’istruzione pubblica, sostenendo che lo Stato non poteva obbligare i genitori a mandare i figli alle sue scuole[12], ma Stato e Chiesa erano ai ferri corti su molti temi, persino sul calendario scolastico: la legge piemontese del 1853 prevedeva nell’anno dieci giorni festivi oltre le domeniche e il fatto che non fossero riconosciute parecchie festività religiose dava luogo a seri inconvenienti, in quanto l’assenza dalle lezioni in giorni che erano festivi per la Chiesa ma non secondo il calendario civile aveva effetti negativi per il giudizio sulla condotta e agli effetti dei premi scolastici[13].

In Savoia, con un primo finanziamento di 70.000 lire elargite dal conte Pillet-Will fu istituita la scuola magistrale con indirizzo sia pedagogico che amministrativo, cosicché soprattutto i piccoli comuni rurali e montani da allora – pagando un solo stipendio – poterono acquisire due professionalità: maestro e segretario comunale. Con altre 30.000 lire messe a disposizione dal medesimo benefattore fu fondata a Chambéry una scuola per levatrici e con altri soldi i comuni più poveri furono riforniti di panche, libri, carta, legna da ardere. Agli alunni meritevoli e bisognosi furono concessi aiuti economici e tutto usciva dalle tasche del conte Pillet-Will[14].

Magenta intervenne anche sulle case di tolleranza e, del resto, nell’esperienza politica dello stesso conte di Cavour non si dimentica mai di ricordare il famoso o famigerato regolamento sulla prostituzione[15]. In altro campo Magenta si impegnò nello sviluppo e promozione degli stabilimenti
termali di Aix-les-Bains e dei lavori stradali e ferroviari[16]. Nel 1857 la regione fu visitata dal re e Magenta ebbe occasione di fare conoscenza personale di Cavour. Quando, a 50 anni, fu insignito dell’onorificenza di Commendatore dei Santi Maurizio e Lazzaro, il presidente del Consiglio volle rimarcare che quello era il meritato riconoscimento per quanto il funzionario aveva fatto e faceva in Savoia[17]. Come è noto, le elezioni politiche del 1857 procurarono parecchi dispiaceri al capo del governo[18], nonostante Magenta avesse agito decisamente nei confronti dei pubblici impiegati che tenevano condotta non abbastanza filo-governativa[19]. Non era la prima volta e non sarebbe stata l’ultima[20] ma Cavour per primo riteneva legittime e giustificate quelle che oggi giudicheremmo indebite pressioni sugli elettori[21].

Alla fine del 1859 il governo La Marmora - Rattazzi, usando i poteri eccezionali concessi dal Parlamento in occasione della seconda guerra d’indipendenza, riformò profondamente l’ordinamento del Regno in campo giudiziario, elettorale, comunale, scolastico. Nacque così la figura del governatore che prese il posto dell’intendente generale, mentre le province sostituirono le divisioni amministrative[22].

Vive e numerose furono le istanze fatte dai capi del partito costituzionale e dalle autorità locali perché si nominasse il Magenta Governatore di Chambéry, il che non avendo essi potuto ottenere per la guerra fortissima che in specie da molti retrivi deputati savoiardi si faceva a quel funzionario, gli diedero con indirizzi e doni dimostrazioni vivissime di affetto e di stima. Per pubblica soscrizione si offerse al Magenta un gruppo in bronzo raffigurante l’antico capolavoro dei lottatori; simbolica espressione della lotta vittoriosa durata da questi contro il partito delle tenebre. Sul piedistallo di marmo verde si incise in oro la seguente iscrizione: A Pierre Magenta / Les liberaux de Chambéry[23]. Cavour, sebbene fosse fuori dal governo a seguito dell’armistizio di Villafranca, intervenne egualmente perché giudicava essenziale che Magenta continuasse la sua opera in Savoia[24], invece il funzionario, che non accettò la carica di direttore generale delle Poste, fu nominato vice-governatore di Genova. Il ministro Rattazzi gli scrisse così il 27 novembre 1859: Il sottoscritto nel recarsi a doverosa e graditissima premura di partecipare al sig. Commendatore Avvocato Pietro Magenta che S. M. per decreto in data d’oggi si compiacque di nominarlo Vice Governatore della Provincia di Genova con l’annuo stipendio di L. 8000, si pregia pure di significargli essere stato nominato a Governatore della stessa Provincia il sig. Nobile Alessandro Porro[25].

Quest’ultimo aveva meriti patriottici indiscutibili ma nessuna esperienza di amministrazione e s’affidò in tutto al suo vice, un po’ come negli stessi mesi avveniva a Milano tra il marchese d’Azeglio e Vittorio Zoppi[26]. Dopo pochi mesi un lutto familiare allontanò Porro da Genova: a trent’anni era morta la moglie Angiola Piola Daverio.

Tutti gli affari rimasero nelle mani di Magenta e che affari! Erano in pieno sviluppo gli avvenimenti straordinari iniziati con la spedizione garibaldina partita da Quarto e Genova rappresentava un crocevia fondamentale[27]. Da lì partirono a migliaia i volontari comandati da Agnetta[28], Medici, Cosenz, Corte, e altri ancora.

Nei primi di aprile del 1860, il cav. Pietro Magenta vice governatore in Genova, consigliò gli emigrati politici Giuseppe Natoli, il Ricciardi[29], il professore Luigi Mercantini, il Nazari[30] e il Mazziotti[31] a costituire subito un comitato di emigrazione per aiutare, non tanto, egli diceva, gli emigrati che allora si trovavano a Genova generalmente non bisognosi, quanto quelli che certamente vi sarebbero attirati da prossimi avvenimenti.

Non disse di più, ma lasciava indovinare quello che egli taceva[32]. Sappiamo quanto fu difficile gestire una situazione politico diplomatica tanto complessa e gli storici hanno narrato e commentato che Cavour si mosse «osteggiando e permettendo al tempo stesso l’eroica avventura»[33].

All’inviato prussiano a Torino disse che la partenza dei volontari garibaldini era quasi la peggior cosa che potesse succedere, aggiungendo però che temeva, impiegando la forza per bloccarli, di perdere il potere.
Soltanto in seguito, quando Garibaldi ebbe stupito il mondo vincendo in Sicilia contro ogni pronostico, fu diffusa la storia che Cavour gli aveva fornito in segreto assistenza ed incoraggiamento costanti. Aiuti seri furono in realtà inviati soltanto alcune settimane più tardi, quando, dopo che Garibaldi ebbe dimostrato di poter vincere, i moderati a Torino si trovarono forzati a tentar di porre sotto controllo e di sfruttare questo successo totalmente inatteso[34].

Magenta recitò un ruolo essenziale, meritando l’apprezzamento di Cavour che, continuando a servirsi di lui, non ritenne di mandare a Genova un nuovo governatore al posto di Porro. Con la palese complicità delle autorità genovesi furono trasportate armi per Garibaldi dichiarando che le casse contenevano libri[35] ma, in seguito, arrivò a Magenta l’ordine: «Vous ne fournirez plus rien aux agents de Garibaldi, sans un ordre précis du ministère. Comuniquez cet ordre à l’amiral»[36]. In agosto Guido Borromeo, segretario generale del ministero dell’Interno, sollecitò Magenta a fare tutto il possibile per arrestare Mazzini: «Il ministro [Luigi Carlo Farini] Le fa dire, per mezzo mio, che se fosse possibile a raggiungere questo scopo qualunque vistosa somma, Egli la disporrebbe purché il Profeta fosse arrestato»[37].

Più tardi, Cavour in persona indirizzò a Magenta una raccomandazione per l’arrivo a Genova del gen. Lamoriciere, sconfitto comandante dell’esercito pontificio: «Importa sommamente all’interesse del paese e all’onore del governo che non gli venga fatto il menomo sfregio [...] Lascio a lei il decidere se si possa concedere al generale Lamoriciere la facoltà di scendere o no a terra»[38]. Era facile in quei mesi cruciali del 1860 sbagliare una mossa e provocare imbarazzi al governo.
Magenta seppe, con una imperturbabile calma, compiere un sì difficile incarico, di guisa che lo stesso Console napoletano non sapeva dai fatti e dalla fisionomia del Vice-Governatore dedurre se veramente il governo avesse o no avuto mano in questa spedizione [...] Può dirsi che quasi ad ogni ora del giorno e della notte ricevesse dispacci in cifra del conte di Cavour, che avea in lui la più grande ed illuminata fiducia. Quando dopo un anno, prima di partire per Bologna, abbruciava in sua casa una quantità di carte, essendogli venuti a mano i dispacci di quell’epoca fu udito esclamare: «Solo il conte di Cavour ed io potremmo far l’istoria della partecipazione del governo a quell’impresa!»[39].

Magenta mantenne l’incarico a Genova fintanto che Cavour rimase in vita. Nel capoluogo ligure si trovava bene, era stimato e benvoluto anche per il carattere franco ma cortese. «Non ricevette mai alcuno in piedi; anche la più umile persona venia da lui fatta sedere [...] Magenta non volle che gli si baciasse la mano facendo sentire come quest’atto fosse sconveniente»[40]. Quando Ricasoli, successore di Cavour, con i decreti dell’ottobre 1861 riformò – di nome – la struttura amministrativa del neonato Regno d’Italia, consacrando la figura del prefetto come rappresentante del governo nelle province, arrivò per Magenta il momento di lasciare Genova, sebbene le autorità
locali facessero voti perché rimanesse. «Era questa la prima volta che genovesi chiedessero al Governo la conservazione d’un suo funzionario; nessuno prima di Magenta aveva avuto in Genova un simile onore»[41].

Un giornale locale scrisse così: Il commendatore Magenta, che ha governato per quasi due anni questa importantissima provincia, venne destinato alla Prefettura di Bologna. Trattandosi del primo Magistrato amministrativo, riteniamo nostro dovere di esprimere i sentimenti del nostro dispiacere per una così poco calcolata traslocazione. Non valsero i voti del Municipio, né quelli della Camera di Commercio, della Deputazione provinciale, di molti rispettabili cittadini e di tutto il giornalismo. Il ministro degli interni credette forse di fare atto di debolezza cedendo ai desideri di un popolo cotanto legalmente manifestati. Eppure sembra che il popolo di Genova sarebbesi potuto soddisfare in questo modestissimo desiderio di avere a capo della provincia un uomo che eragli stato inviato in tempi difficili e quando taluni non si peritavano di dire che i Genovesi erano ingovernabili! [...] Il commendatore Magenta basato sulla legge, né scostandosi dalla lezione della prudenza, diresse da abile amministratore i pubblici affari, e colla fermezza di carattere che lo distingue volle che fossero uniformate alla legge certe pie amministrazioni, ciò che un timido amministratore non avrebbe ardito giammai di fare. Fu arrestato, è vero, alla metà dell’opera mercé la traslocazione. A Bologna. Rimane al suo successore di compierla. La provincia sia pur lieta di avere a capo un così distinto funzionario[42]. Secondo l’uso, arrivando a Bologna Magenta rivolse un messaggio di saluto ma non tutti ne gradirono il tono: Egli è preceduto dalla rinomanza d’uomo energico e di abile amministratore, imparziale e dotato di quelle qualità che varranno a raffermare queste disgustate popolazioni nell’affetto al nuovo Governo [...]
Peccato che abbia voluto fare a se stesso un elogio col ricordare l’affetto che gli portava la città di Genova al cui governo era rimasto da qualche anno[43].

L’impegno che attendeva Magenta come prefetto di Bologna era grave. Nel capoluogo felsineo destava grave allarme la situazione della sicurezza pubblica che negli Stati del papa sovente era stato un grattacapo per i legati, del resto impegnati soprattutto a neutralizzare gli oppositori politici[44]. Prima dell’Unità non erano mancati atti delittuosi ammantati di patriottismo[45], ma dopo il 1859 a Bologna il problema fu principalmente di criminalità comune[46]. Un’agguerrita e organizzata “Associazione dei malfattori” scorrazzava impunita commettendo omicidi, rapine a mano armata, furti, estorsioni. Le autorità parevano impotenti, i testimoni reticenti, le vittime restie a collaborare.
La banda aveva stabilito una divisione del territorio secondo i tradizionali cantoni, controllati da squadre agli ordini di un capo. Queste squadre dette balle (nel gergo locale significava combriccole ma anche società fra lavoratori come le note balle dei facchini) erano tra loro collegate e facevano capo a un organismo direttivo centrale: insomma qualcosa che ricorda l’organizzazione mafiosa. Grazie anche a collusioni con agenti di polizia, il crimine prosperava: in un anno si contarono quasi 500 fatti delinquenziali, compresi un furto alla Zecca e l’assalto a una diligenza poco fuori Bologna[47].

Nel passaggio dagli Stati preunitari al Regno d’Italia c’era stata un’inevitabile epurazione nelle polizie, generalmente odiate e giudicate politicamente inaffidabili[48], cosicché i ranghi erano rimasti sguarniti e non sempre i nuovi elementi, talvolta reclutati in modo superficiale, si dimostravano all’altezza del compito[49]. A Bologna erano stati inviati in missione funzionari da altre regioni come gli ispettori Grasselli e Fumagalli che cominciarono a mettere un po’ d’ordine, ma la sera del 28 ottobre 1861 mani ignote li fulminarono a colpi di fucile in una strada centrale[50]. Fu tale lo sgomento provocato da quell’atroce delitto che il consigliere delegato Folperti, che reggeva la prefettura in assenza del prefetto, uscì di senno e finì per suicidarsi[51].

Magenta fu scelto da Ricasoli per sostituire nell’incarico di prefetto il conte Oldofredi Tadini su cui si appuntavano critiche di inadeguatezza[52]. Arrivò anche un nuovo questore, Felice Pinna, al posto del collega Buisson.Tra i primi atti fu deciso il trasferimento di parecchie guardie sospettate di collusione con la malavita. Le balle diedero il benvenuto ai nuovi responsabili della pubblica sicurezza assaltando la stazione ferroviaria travestiti da carabinieri con un bottino di 80.000 lire[53]. A quel tempo i metodi investigativi erano approssimativi e tutto affidato all’intuito e alla buona volontà dei singoli inquirenti che agivano senza nessun coordinamento. Non esisteva casellario giudiziale, negli archivi di polizia mancavano schede biografiche dei pregiudicati e allora Magenta s’inventò qualcosa di simile: Sua prima cura fu di compilare, scorrendo oltre un migliaio di processi criminali, un libro nero ove iscrisse tutti i soggetti compromessi e sospetti; e colla guida di esso poté colpire in modo efficace gli sterpi della malavita bolognese. Quando avvenne a Genova, nel 1862, il famoso furto nel banco Parodi, egli avvertiva la questura genovese che il fatto non poteva essere stato commesso se non da bolognesi, essendo il metodo adoperato in quel furto quello stesso ch’egli aveva riscontrato in altre audaci aggressioni condotte da delinquenti di Bologna[54].

Il prefetto volle che si riorganizzasse la Guardia Nazionale[55] e stimolò l’attività dell’amministrazione civica[56]. Alla fine di ottobre del 1861 s’era dimesso il sindaco marchese Luigi Pizzardi[57] e, a gennaio del 1862, fu nominato a capo dell’amministrazione cittadina Carlo Pepoli[58].
Grazie alle iniziative di Magenta cominciarono a vedersi i primi risultati, con perquisizioni mirate e arresti a raffica. I malfattori risposero con un attentato, per fortuna fallito, al questore Pinna e a due collaboratori.

Quando fu definitivamente infranta la barriera della paura e dell’omertà e un centinaio di delinquenti finirono in prigione, le condizioni della sicurezza migliorarono nettamente[59].
Anni dopo, discutendosi alla Camera se adottare misure straordinarie a Ravenna, dove erano stati uccisi prima il procuratore del re Cappa e poi il prefetto Escoffier[60], Crispi allora deputato di opposizione pronunciò queste parole: Senza i poteri eccezionali il Ministero ha forza sufficiente per l’adempimento delle sue funzioni. Ripeto, pertanto, che la domanda di poteri eccezionali è una confessione d’incapacità. Aggiungerò che anche la violazione delle leggi è una mezza confessione d’incapacità, imperocchè il potere esecutivo non ha neanche bisogno di ricorrere agli arresti arbitrari allorché funzionari intelligenti sono sul luogo e sanno adempiere al loro dovere. Voi stessi me ne avete dato l’esempio ricordando il prefetto Magenta. Vedete dunque che, quando le mani cadono giusto, la condizione delle cose si migliora, la sicurezza pubblica si ristabilisce senza bisogno di mezzi eccezionali[61].

Quando ormai tutto sembrava messo per il meglio, nell’estate del 1862 Magenta partì per un viaggio all’estero in compagnia dell’industriale Giuseppe Casa, diretto in Svizzera, Germania, Francia, Belgio, Olanda, Regno Unito per studiarne l’amministrazione pubblica ma anche per raccogliere «notizie sull’attività internazionale di alcuni gruppi criminali»[62]. Durante un trasferimento notturno, nel comune svizzero di Schöllenen la carrozza si ribaltò in località Ponte del diavolo precipitando in un dirupo. Pietro Magenta rimase gravemente ferito e morì il 18 luglio ad Andermatt all’età di 55 anni. Dopo la provvisoria sepoltura in quel villaggio, la salma fu traslata a Bologna nel cimitero della Certosa.

Grazie a una pubblica sottoscrizione, venne edificato un monumento funebre inaugurato il 16 agosto 1863 (figura 2). Curò il disegno il noto architetto Antonio Cipolla, la parte scultorea Giambattista Lombardi, quella ornamentale Giuseppe Palombini. Nel monumento il busto di Magenta, sorretto da due geni che intrecciano una corona civica, sovrasta una statua che rappresenta Felsina desolata che regge una ghirlanda di fiori[63]. Un ulteriore onore fu reso dai bolognesi al prefetto Magenta dedicandogli una lapide nel cortile di Palazzo d’Accursio con le parole: «A Pietro Magenta prefetto restitutore della sicurtà pubblica». A Gambolò all’illustre concittadino fu intitolata la strada dove era nato e aveva trascorso l’infanzia[64].

 

1 In vecchi documenti il nome familiare è “Maxenta” (JACOPO VIRGILIO, Pietro Magenta. Cenni biografici, Genova, Tipografia Sociale, 1862, p. 5).
2 ARIANNA ARISI ROTA, Magenta Pio, in Dizionario biografico degli Italiani, LXVII, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2006, pp. 318-320; PIETRO SCOTTI, Zerbolatum Zerbolò. Appunti di storia, notizie e personaggi, Pavia,Tipografia Bodoniana, 1984; LIVIO ANTONIELLI, I prefetti dell’Italia napoleonica: Repubblica e Regno d’Italia, Bologna, il Mulino, 1983; IDEM, Pio Magenta:“repubblicano pronunciato” o lettore incauto?, in L’affaire Ceroni: ordine militare e cospirazione politica nella Milano di Bonaparte, a cura di Stefano Levati, Milano, Guerini, 2005, pp. 255-282.
3 ELENA SANESI, Le carte di Carlo Cantoni a Gropello Cairoli, in “Rassegna Storica del Risorgimento”, LVI (1969), pp. 72-87. Apparteneva alla parentela Carlo Magenta, illustre studioso e professore di storia all’Università di Pavia che, nel
1859, aveva combattuto nei Cacciatori delle Alpi insieme con il fratello Pietro, omonimo del Nostro, caduto nella battaglia di San Fermo.
4 Dal matrimonio nacquero due maschi e una femmina. Sul suocero Angelo Bo, che fu anche deputato, vedi NARCISO NADA, Angelo Bo, in Dizionario biografico degli Italiani, X, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1968, pp. 798-799.
5 Nel 1930 la denominazione del capoluogo fu cambiata da “Spezia” in “La Spezia”.
6 VIRGILIO, Pietro Magenta. Cenni biografici, cit., pp. 7-9. Sulle vicende della divisione lombarda: GIOVANNI SFORZA, Il generale Manfredo Fanti in Liguria e lo scioglimento della Legione lombarda (aprile-maggio 1849), Roma, Società Editrice Dante Alighieri, 1911;DOMENICO GUERRINI, La divisione lombarda nella campagna del 1849, in “Il Risorgimento Italiano”, I (1908), pp. 377-423; FEDERICO CARANDINI, Manfredo Fanti generale d’armata, Verona, Stabilimento G. Civelli, 1872.
7 MAURA PICCIALUTI, Opere pie e beneficenza pubblica: aspetti della legislazione piemontese da Carlo Alberto all’unificazione amministrativa, in “Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico”, XXX (1980), pp. 963-1051; EADEM, Il patrimonio del povero L’inchiesta sulle opere pie del 1861, in “Quaderni Storici”, XV (1980), pp. 918-941; FRANCO DELLA PERUTA, Le opere pie dall’unità alla legge Crispi, in Problemi istituzionali e riforme nell’età crispina, Roma, Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, 1992, pp. 193-250.
8 CORRADO DE BIASE, Il problema delle ferrovie nel Risorgimento italiano, Modena, Società tipografica modenese, 1940, p. 103; LUIGI BALLATORE, Storia delle ferrovie in Piemonte, Torino, Il Punto, 1996, pp. 53-56; GIULIO GUDERZO, Lo sviluppo delle ferrovie sabaude (autunno 1848-primavera 1859), in “Bollettino della Società Pavese di Storia Patria”, LXI, 2 (1961), pp. 53-60; IDEM, A proposito dello sviluppo ferroviario in Italia dal 1850 al 1914. Aspetti geografici, economici e tecnologici, in “Bollettino della Società Pavese di Storia Patria”, LXXII-LXXII (1972-1973), pp. 141-172.
9 VIRGILIO, Pietro Magenta. Cenni biografici, cit., p. 17.
10 Per i messaggi riservati scambiati tra Cagliari e Torino vedi ROSARIO ROMEO, Cavour e il suo tempo. III: 1854-1861, Bari, Laterza, 1984, pp. 161-162.
11 VIRGILIO, Pietro Magenta. Cenni biografici, cit., pp. 17-19.
12 Il primo Congresso cattolico italiano, tenutosi a Venezia dal 12 al 16 giugno 1874, approvò due ordini del giorno. Il primo riguardava la “Libertà di insegnamento”: «I cattolici si adoperino con tutti i mezzi legali ad ottenere la libertà del loro insegnamento». Il secondo era “Contro l’insegnamento obbligatorio”: «L’insegnamento obbligatorio è contrario ai sacri doveri e diritti della patria potestà» (vedi GIORGIO CANDELORO, Il movimento cattolico in Italia, Roma, Edizioni Rinascita, 1953, pp. 147-149). La legge del 1877 voluta dal ministro Coppino all’art. 1 stabilì: «I fanciulli e le fanciulle che abbiano compiuto l’età di sei anni e ai quali i genitori o quelli che ne tengono il luogo non procaccino la necessaria istruzione, o per mezzo di scuole private ai termini degli articoli 355 e 356 della legge 13 novembre 1859, o coll’insegnamento in famiglia, dovranno essere inviati alla scuola elementare del comune».
13 FRANCESCO SCADUTO, Diritto ecclesiastico vigente in Italia, vol. II, Torino, Fratelli Bocca Editori, 1894, pp. 836-840.
14 VIRGILIO, Pietro Magenta. Cenni biografici, cit., pp. 21-22.
15 MARY GIBSON, Medici e poliziotti. Il regolamento Cavour, in “Memoria. Rivista di Storia delle Donne”, 17, 2 (1986), pp. 90-100; GIOVANNA VICARELLI, Ilcontrollo sanitario sulle meretrici, in Alle radici della politica sanitaria in Italia, Bologna, il Mulino, 1997, pp. 132-135; GIORGIO GATTEI, La sifilide: medici e poliziotti intorno alla “Venere politica”, in Storia d’Italia. Annali. VII: Malattia e medicina, Torino, Einaudi, 1984, pp. 741-800.
16 Proprio in Savoia fu costruita la prima strada ferrata del Regno di Sardegna, da Chambéry al lago di Bourget. Successivamente, nel 1853, fu progettata la ferrovia destinata a diventare la principale arteria di comunicazione tra Italia e Francia: una società privata ottenne di costruire ed esercire a sue spese la linea che collegò Saint Jean de Maurienne, Aix-les-Bains e il confine con la Francia, da dove partiva la linea per Lione e Parigi. Il restante tronco, a sud sino a Modane, fu completato più tardi col traforo del Fréjus (ma nel 1860 la Savoia ormai era stata ceduta).
17 VIRGILIO, Pietro Magenta. Cenni biografici, cit., p. 27.
18 CARLO PISCHEDDA, Le elezioni piemontesi del 1857: appunti critici per una ricerca, Cuneo, Saste, 1969; IDEM, Documenti inediti sulle elezioni piemontesi del 1857, in “Studi Piemontesi”, VIII (1979), pp. 168-181; ADRIANO VIARENGO, Cavour, Roma, Salerno, 2010.
19 ROMEO, Cavour e il suo tempo. III, cit., pp. 391-392.
20 Ad esempio, per gli interventi di Ricasoli e del segretario generale Celestino Bianchi vedi ALBERTO AQUARONE, Accentramento e prefetti nei primi anni dell’Unità, in Alla ricerca dell’Italia liberale, Napoli, Guida, 1972, p. 167; PAOLO ALATRI, Lotte politiche in Sicilia sotto il governo della Destra, Torino, Einaudi, 1954, pp. 210-211.
21 DONATO D’URSO, Le elezioni nel 2° collegio di Alessandria del 18 febbraio 1858, in “Bollettino Storico-Bibliografico Subalpino», XCVIII (1999), pp. 709-714.
22 ANGELO PORRO, Il prefetto e l’amministrazione periferica in Italia. Dall’Intendente subalpino al prefetto italiano (1842-1871), Milano, A. Giuffrè, 1972; LORENA CORDARO, Dal governatore al prefetto, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Torino, Facoltà di Giurisprudenza, 2001; PIERO AIMO, Stato e poteri locali in Italia. Dal 1848 a oggi, Roma, Carocci, 2010, pp. 35-37.
23 VIRGILIO, Pietro Magenta. Cenni biografici, cit., pp. 27-28.
24 ROMEO, Cavour e il suo tempo. III, cit., p. 648.
25 MARIO ENRICO FERRARI, Cesare Cabella, Pietro Magenta, Jacopo Virgilio, la società “La Nazione” e i Mille, Genova, Bozzi Editore, 1991, p. 64
26 DONATO D’URSO, Vittorio Zoppi prefetto in Lombardia, in “Archivio Storico Lombardo”, CXXXI-CXXXII (2005-2006), pp. 409-428.
27 Rinvio alla vastissima bibliografia sul tema, innanzitutto a quella classica su Cavour e Garibaldi.Di interesse: Genova e l’impresa dei Mille, 2 voll., Roma, Canesi, 1961; FERRARI, Cesare Cabella, Pietro Magenta, cit.
28 DONATO D’URSO, Carmelo Agnetta, in “Rassegna Storica Toscana”, LIV (2008), pp. 123-136.
29 Giuseppe Napoleone Ricciardi (1808-1882), figlio di un ministro di Murat, mazziniano, deputato napoletano nel 1848, esule in Piemonte, deputato della sinistra dopo l’Unità, nel 1869 organizzò un “anticoncilio”, contraltare al Vaticano I (vedi GIUSEPPE RICCIARDI, L’anticoncilio di Napoli del 1869, Napoli, Stabilimento tipografico, 1870).
30 Il prof. Luigi Nazari, come tanti liberali meridionali, fu costretto all’esilio per sfuggire alla reazione borbonica. Notizie su di lui nel libro della figlia IDA NAZARI-MICHELI, Cavour e Garibaldi nel 1860, Roma, Tipografia Cooperativa
Sociale, 1911.
31 Francesco Antonio Mazziotti discendeva da un’antica famiglia del Cilento. Deputato a Napoli nel 1848, fu condannato a morte in contumacia e costretto a rifugiarsi a Genova. Nuovamente deputato dopo l’Unità, morì nel 1878 (vedi MATTEO MAZZIOTTI, Ricordi di famiglia, Roma, Società Editrice Dante Alighieri, 1916).
32 MATTEO MAZZIOTTI, La reazione borbonica nel regno di Napoli, Casalvelino Scalo, Galzerano Editore, 1993, pp. 337-338.
33 ALFREDO ORIANI, La lotta politica in Italia, III, Firenze, “La Voce”, 1921, p. 65.
34 DENIS MACK SMITH, Cavour, Milano, CDE, 1984, p. 241.
35 GEORGE MACAULAY TREVELYAN, Garibaldi e i Mille, Bologna, Zanichelli, 1910, pp. 238-239.
36 FRANCESCO CRISPI, I Mille, Milano, Fratelli Treves, 1911, p. 233.
37 FERRARI, Cesare Cabella, Pietro Magenta, cit., p. 65.
38 Ivi, p. 71.
39 VIRGILIO, Pietro Magenta. Cenni biografici, cit., pp. 31-32. Un’altra testimonianza è quella del ricordato Vittorio Zoppi che operava a Milano. Massimo d’Azeglio inviò il suo vice a Torino affinché riferisse a Cavour delle partenze dei volontari verso il Meridione. Zoppi fu ricevuto dal capo del governo durante un colloquio con l’ambasciatore di Francia. Alla presenza di quest’ultimo, Cavour redarguì severamente Zoppi per la tolleranza usata a Milano nei confronti dei garibaldini e impartì ordini severi perché fossero impedite ulteriori partenze. Rientrato in sede, Zoppi riferì al governatore le parole di Cavour ma, aggiunse, riteneva che quegli ordini fossero giustificati dalla presenza dell’ambasciatore e, dunque, da ignorare.
Infatti, la sera stessa partì un altro folto gruppo di volontari, equipaggiato dal governo piemontese. Quando Zoppi rivide Cavour ricevette la più ampia approvazione per la condotta tenuta ed ebbe allora l’ardire di chiedergli cosa sarebbe accaduto se a Milano avessero impedito la partenza dei volontari. Il ministro rispose che li avrebbe destituiti se la Francia avesse più oltre protestato per l’aiuto dato al generale Garibaldi ma, soggiunse, in questo caso li avrebbe richiamati dopo breve tempo a più alte funzioni (GIOVANNI ZOPPI, Si voleva arrestare Garibaldi nel 1866?, in Atti del XIX Congresso Storico Subalpino (Alessandria, 3-5 settembre 1926), Casale Monferrato, Tipografia Miglietta, 1927, pp. 340-341).
40 VIRGILIO, Pietro Magenta. Cenni biografici, cit., pp. 34 e 41.
41 Ivi, p. 35.
42 “Gazzetta dei Tribunali”, 30 novembre 1861.
43 ENRICO BOTTRIGARI, Cronaca di Bologna. III: 1860-1867, a cura di Aldo Berselli, Bologna, Zanichelli, 1961, p. 228, sotto la data del 9 dicembre 1861.
44 Ancora valido, per la messe di notizie, RAFFAELE DE CESARE, Roma e lo Stato del Papa dal ritorno di Pio IX al 20 settembre, Roma, Forzani & C., 1907. Tra le pubblicazioni più recenti: ANGELA DE BENEDICTIS, Legazioni di Bologna, Ferrara e Romagna 1700-1860,Milano, F.M. Ricci, 1995; ALDO BERSELLI, Storia dell’Emilia Romagna, Bologna, University Press, 1980.
45 «Fino a che vi fu un governo pontificio da combattere e l’unità italiana da raggiungere, tutto l’operato più o meno encomiabile ed anche quello biasimevolissimo delle uccisioni, delle vendette e violenze diverse, passò coperto dal gran tricolore, quasi nobilitato dall’altissimo fine di dare una patria agli italiani. Ma quando, compiuta l’unità nazionale, tale fine scomparve, non si adattarono a scomparire le sette: anzi, trascinate dal loro male vezzo, divenuto naturale col tempo, di osteggiare qualsiasi autorità costituita, continuarono a infuriare contro il governo italiano, in mancanza di quello pontificio» (AMEDEO NASALLI ROCCA, Memorie di un prefetto, a cura di Carlo Trionfi, Roma, Mediterranea, 1946, p. 52).
46 VIRGILIO, Pietro Magenta. Cenni biografici, cit., pp. 36-37.
47 Per i dettagli di cronaca vedi il volume di Bottrigari citato in nota 43 e il “Monitore di Bologna”, anni 1859-1862.
48 STEVEN HUGHES, La continuità del personale di polizia negli anni dell’unificazione nazionale italiana, in “Clio”, XXVI (1990), pp. 337-359; DONATO D’URSO, La polizia italiana dall’Unità al 1922, Bolzano, Comitato di Bolzano dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, 2003.
49 Come esempio di reclutamento estemporaneo si pensi a Temistocle Solera (1815-1878) letterato, compositore, librettista di opere verdiane, direttore d’orchestra, impresario, funzionario di polizia, questore, antiquario.
50 Grasselli e Fumagalli avevano partecipato alle perquisizioni nell’oratorio di don Bosco a Valdocco tra maggio e giugno 1860. Il futuro santo, poco generosamente, volle attribuire a vendetta divina la cattiva sorte toccata a chi aveva osato tanto (i politici Cavour e Farini e i suddetti funzionari di polizia).
51 “Manuale del Funzionario di Sicurezza Pubblica e di Polizia Giudiziaria”, I (1863), pp. 273-274.
52 Ercole Oldofredi Tadini (1810-1877) apparteneva ad aristocratica famiglia bresciana. Aveva partecipato agli avvenimenti del 1848 subendo esilio, sequestro del patrimonio, condanna a morte e impiccagione in effigie. L’esperienza di Bologna lo deluse e non accettò più incarichi prefettizi. Trasferito a Lucca presentò le dimissioni.
53 BOTTRIGARI, Cronaca di Bologna. III, cit., p. 229.
54 FRANCESCO POGGI, Magenta Pietro, in Dizionario del Risorgimento nazionale, III, Milano, Vallardi, 1933, p. 415.
55 ENRICO FRANCIA, Le baionette intelligenti: la guardia nazionale nell’Italia liberale 1848-1876, Bologna, il Mulino, 1999.
56 All’epoca il sindaco non era eletto ma nominato, con decreto reale, in una terna di consiglieri comunali segnalati dal prefetto cosicché, per i comuni minori, si usava dire che «i sindaci erano scelti dai marescialli dei carabinieri».
57 Luigi Pizzardi aristocratico e ricco proprietario terriero, dedito ad attività filantropiche, sin dal 1848 militò tra i liberali filo-piemontesi e dopo il 1860 fu senatore del Regno (ALESSANDRO ALBERTAZZI, I sindaci di Bologna. Luigi Pizzardi, in “Strenna Storica Bolognese”, XXXIX (1989), pp. 17-29).
58 Carlo Pepoli, aristocratico e letterato, costretto ad un lungo esilio all’estero per motivi politici, fu poi deputato e senatore del Regno (Dizionario dei bolognesi, a cura di Giancarlo Bernabei, vol. II, Bologna, Santarini, 1989-1990, pp. 400-401).
59 Notizie si trovano nella Storia della polizia italiana dal 1848 del prof.Milo Julini (rimasta incompiuta) pubblicata a puntate nel periodico “Fiamme d’Oro” negli anni 2002-2004.Quella che si chiamò “causa longa” iniziò nell’aprile 1864 in una sala di Palazzo d’Accursio appositamente allestita, durò 178 giorni – vero record per quei tempi – e si concluse con una sfilza di condanne ai lavori forzati e al carcere. Uno dei capi dell’associazione di malfattori, Pietro Ceneri, evase e fuggì all’estero. A Buenos Aires condusse vita signorile sotto falso nome non mancando di elargire denaro in beneficenza, infine fu catturato in Perù (ALESSANDRO GUICCIOLI, Diario di un conservatore, Milano, Edizioni del Borghese, 1973, pp. 87-88, sotto la data del 10 novembre 1881).
60 DONATO D’URSO, L’omicidio Escoffier fu un delitto politico? No, peggio!, in “Amministrazione Civile”, giugno 2005, pp. 46-48.
61 FRANCESCO CRISPI, Discorsi parlamentari, I, Roma, Tipografia della Camera dei Deputati, 1915, p. 876, tornata del 18 giugno 1868.
62 FERRARI, Cesare Cabella, Pietro Magenta, cit., p. 45 nota 74. Peraltro, non ho trovato conferma di questo particolarissimo scopo del viaggio.
63 www.certosa.cineca.it – scheda a cura di Adriana Conconi Fedrigolli. L’epigrafe dice: «A Pietro Magenta commendatore mauriziano giureconsulto reggitore di provincie prudente solerte giusto, morto per caduta fra burroni alpini, Bologna con mesta pompa qui traslata la spoglia del sì benemerito suo Prefetto che in pochi mesi da torme scellerate fé sicura, questo monumento innalzava per cura e
spese della Provincia del Municipio dei Cittadini, durevole segno di affetto gratitudine
onoranza».
64 Notizie e riferimenti a Pietro Magenta, oltre che nelle opere citate nelle note, sono in PIOMAGENTA, Ricerche su’ le pie fondazioni e su’ l’ufficio loro a sollievo dei poveri con un’appendice sui pubblici stabilimenti di beneficenza della città di Pavia, Pavia, Tipografia Bizzoni, 1838; PIETROMAGENTA, Nella solenne apertura delle scuole tecniche per gli artieri, della scuola per gli allievi misuratori, fattasi in Casale il 14 dicembre 1851, Casale,Tipografia Miglietta, 1851; IDEM, Proclama del prefetto Pietro Magenta diretto agli italiani di Bologna nell’atto di assumere il governo, in “Monitore di Bologna”, 11 dicembre 1861; IDEM, Inaugurazione del monumento sepolcrale al commendatore avvocato Pietro Magenta già Prefetto della bolognese provincia nel cimitero comunale di Bologna il 16 agosto 1863, Bologna, Regia Tipografia, 1863; CARLO PEPOLI, Ricordanze biografiche, Bologna, Fava e Garagnani, 1879; NICO RANDERAAD, Autorità in cerca di autonomia. I prefetti nell’Italia liberale, Roma, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, 1997, ad indicem; ALFREDO COMANDINI – ANTONIO MONTI, L’Italia nei cento anni del secolo XIX, Milano, A. Vallardi, 1918-1929, sotto la data del 18 luglio 1862; Carteggio politico di Michelangelo Castelli, a cura di Luigi Chiala, I,Torino, L. Roux, 1890; Carteggi di Camillo Cavour. La liberazione del Mezzogiorno e la formazione del regno d’Italia, Bologna, Zanichelli, 1949-1954, ad indicem; DENIS MACK SMITH, Cavour e Garibaldi nel 1860, Torino, Einaudi, 1958.