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Anagrafe 2.0. La trasformazione del servizio anagrafico dopo le leggi di semplificazione e per la crescita - Terza parte

CambioL’acuta recessione economica in atto in Italia (nell’ottobre 2012 si è stimato in -2,4% il calo del prodotto interno lordo a fine anno, il tasso di disoccupazione al 10,8%, la caduta della produzione industriale al -4,8% tendenziale e la netta contrazione della domanda interna al -3,6%) ha indotto il Governo italiano a varare il Decreto-Legge 18 ottobre 2012, n. 179, poi convertito, con modificazioni, in L. 17 dicembre 2012, n. 221, recante “Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese”. 
Nella conferenza stampa successiva al Consiglio dei Ministri in cui è stato approvato, il Presidente del Consiglio Monti e i Ministri per lo sviluppo economico, per la pubblica amministrazione, e dell’istruzione, dell’università e della ricerca (non ci si ripete sull’assenza già notata supra in altra analoga occasione) hanno adoperato espressioni “forti” per qualificare questo intervento, parlando di trasformazione del Paese, di misure che tracciano il futuro, di norme che “puntano, in modo ambizioso, a fare del nostro Paese un luogo nel quale l’innovazione rappresenti un fattore strutturale di crescita sostenibile e di rafforzamento della competitività delle imprese” (dal comunicato stampa del 4 ottobre 2012).

Degno di rilievo è il fatto che, in quello che è stato battezzato per i media D.L. Crescita 2.0, i primi 5 articoli riguardano, direttamente o indirettamente, il servizio anagrafico.

Invero, l’art. 1 detta, nel suo primo comma, l’intento ispiratore del complessivo intervento normativo nell’ambito dell’attuazione della c.d. Agenda digitale italiana, finalizzata alla promozione dello “sviluppo dell’economia e della cultura digitali”, nonché della ricerca e dell’innovazione tecnologica “quali fattori essenziali di progresso e opportunità di arricchimento economico, culturale e civile”.
Al fine di favorire queste linee di sviluppo dell’economia e della società italiane assume un ruolo chiave il potenziamento dell’utilizzo della carta d’identità elettronica, mediante l’ampliamento delle possibili utilizzazioni e l’unificazione, sul medesimo supporto, con la tessera sanitaria, in maniera tale da determinare la costituzione di un “documento digitale unificato”, rilasciabile gratuitamente al cittadino.
La carta d’identità elettronica (CIE), prevista inizialmente dalla L. 15 maggio 1997, n. 127, soggetta a successivi interventi normativi, a distanza di molti anni non è mai uscita, sostanzialmente, dalla fase di sperimentazione, visto che solo una parte dei Comuni sono autorizzati ad emetterla.
Il rilascio della carta d’identità, pur non essendo disciplinato dalla normativa anagrafica ma da quella più propriamente attinente alla pubblica sicurezza (art. 3 Regio Decreto 18 giugno 1931, n. 773), è intimamente connesso al servizio anagrafico, poiché il suo presupposto coincide con il requisito per la registrazione anagrafica (la residenza), e perché i dati da iscrivere sul documento d’identità sono precipuamente forniti dall’anagrafe.
La nuova norma contenuta nell’art. 1 D.L. 179/2012 dà nuovo impulso alla CIE, incrementando lo stanziamento di bilancio inteso ad universalizzare il servizio, e assorbendo nel rilascio del nuovo documento unificato anche le risorse destinate alla produzione ed emissione della tessera sanitaria.
Anche se per la sua concreta distribuzione da parte degli uffici comunali dovrà attendersi l’adozione di un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, e, successivamente, un decreto del Ministro dell’interno che ne detti le regole tecniche, appare evidente – anche dalla collocazione sistematica nell’articolato del D.L. – il ruolo assunto dal “documento digitale unificato” (dizione, tuttavia, che non evoca adeguatamente la sua funzione), non solo quale documento di identificazione del cittadino, e dell’iscritto al servizio sanitario regionale, ma come chiave di accesso a tutti i servizi online della pubblica amministrazione, punto di riferimento unitario attraverso cui il cittadino si autentica e interagisce telematicamente con gli uffici pubblici. 
La misura, visibilmente, mira a razionalizzare la spesa sostenuta dalle pp.aa., statali e territoriali, per dotare il cittadino-utente di una tessera elettronica di accesso ai propri servizi, generando un ulteriore risparmio economico nel disincentivare la gestione delle pratiche amministrative con le modalità tradizionali date dal binomio “presenza fisica allo sportello”/”flusso documentale cartaceo”.
 
Perché ciò possa essere messo in condizione di funzionare, deve essere costruito un idoneo sistema informativo di supporto: è quanto prevede l’art. 2 D.L. 179/2012 con l’istituzione dell’Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR).
Questa viene definita quale “base di dati di interesse nazionale”, ai sensi dell’art. 60 del CAD, e subentra all’Indice nazionale della anagrafi (INA), all’Anagrafe della popolazione italiana residente all’estero (AIRE), nonché, progressivamente, alle anagrafi della popolazione residente e degli italiani all’estero tenute dai Comuni.
Si tratta, come può agevolmente evincersi, di una vera e propria rivoluzione nel mondo degli uffici anagrafici, in considerazione del fatto che – quanto meno dall’epoca del suo ingresso nel nostro ordinamento, come già detto – l’anagrafe è sempre stata congegnata come “comunale”, pur se sottoposta a controlli statali. La stessa configurazione, in questo ambito, del Sindaco quale “Ufficiale del Governo”, ossia quale delegato dallo Stato all’espletamento di una funzione essenzialmente statale anche se gestita a livello di ente locale, non ha mai, sinora, determinato il venir meno della dimensione comunale per un servizio che necessariamente deve svolgersi a diretto contatto con i cittadini.
Tuttavia, la trasformazione dell’anagrafe da “comunale” a “nazionale” non avverrà in maniera repentina e diretta, giacché ormai da anni è operativo un ponte di passaggio dei dati relativi ai residenti nei vari Comuni e degli italiani all’estero costituito dall’INA e dall’AIRE nazionale.
 
Per quel che riguarda, in particolare, l’INA, si tratta di un sistema istituito con D.L. 27 dicembre 2000, n. 392, soggetto a successive modifiche, nato sulla scorta di precedenti sperimentazioni di carattere sovra-comunale, e avente lo scopo di consentire al Ministero dell’interno e all’ISTAT un miglior esercizio delle funzioni di vigilanza (ai sensi dell’art. 12 della L. 1228 del 1954), soprattutto mettendo in luce possibili duplicazioni di posizioni nelle anagrafi dei diversi Comuni.
L’univocità dei dati anagrafici viene garantita dall’individuazione nel codice fiscale della chiave univoca di identificazione della persona, e costituisce la base di allineamento delle anagrafi comunali con gli archivi delle altre amministrazioni pubbliche, in particolare con l’anagrafe tributaria.
Questa garanzia di univocità dei dati personali costituisce anche la condizione per l’operatività del servizio di emissione della carta d’identità elettronica.
L’esigenza di centralizzazione delle informazioni fondamentali relative alle persone residenti sul nostro territorio viene, tuttora, assolta dagli uffici comunali inserendo nel sistema INA, incardinato nell’infrastruttura tecnologica e di sicurezza gestita dal Ministero dell’interno (in particolare, dal Centro Nazionale per i Servizi Demografici ivi operante), ogni variazione attinente ai dati relativi alle generalità, alla cittadinanza, alla famiglia e all’indirizzo anagrafico delle persone iscritte nelle anagrafi comunali, in maniera da consentire, non solo al Viminale, ma a tutte le pp.aa., di conoscere quale sia il Comune di residenza del soggetto con cui interagiscono.
Invero, tra le finalità fondamentali dell’INA vi è la c.d. circolarità anagrafica, ossia la possibilità per tutti gli uffici pubblici di conoscere immediatamente e ufficialmente le informazioni anagrafiche relative ad ogni cittadino, unicamente digitando il suo codice fiscale (chiave di ricerca univoca), direttamente presso i propri terminali, senza dover avviare onerosi accertamenti o richiedere certificati al cittadino (attività, si è visto sopra, vietata nel nostro ordinamento).
Come si può notare, le esigenze alla base dell’istituzione dell’Anagrafe Nazionale paiono le stesse che hanno fondato la costruzione dell’INA (evitare la duplicazione delle posizioni anagrafiche, allineare dette posizioni nei diversi archivi presenti nelle pp.aa., consentire l’emissione della CIE, favorire la circolarità anagrafica, rendere più efficiente la funzione statale di vigilanza sulle anagrafi).
Quali allora le differenze fondamentali tra i due sistemi?
Come detto, l’art. 2 D.L. 179/2012 stabilisce che l’ANPR subentra sia all’INA che alle anagrafi comunali (oltre che all’AIRE); questo implica che non sussisterà più un dualismo nei sistemi di raccolta delle informazioni anagrafiche (da un lato le anagrafi comunali, dall’altro l’Indice nazionale), e il dato anagrafico verrà immesso direttamente nell’unico data-base, costituito dall’ANPR.
Questo, prima di oggi, non avveniva, dacché l’operatore dell’ufficio demografico – una volta effettuata la registrazione della iscrizione o variazione anagrafica – doveva separatamente “inviare” i dati al livello centrale, tramite il differente sistema dell’INA. L’adempimento era sì obbligatorio, ma l’esecuzione poteva comportare scarti temporali – rispetto alla registrazione nell’anagrafe comunale – anche significativi, dovuti sia ad un intempestivo assolvimento dell’obbligo da parte dell’ufficiale d’anagrafe, sia a problemi tecnici connessi al passaggio dei dati tra il sistema di gestione dell’anagrafe e il sistema dell’INA.
Ma va anche rimarcato che la stessa legge non consentiva (fino ad oggi) che l’INA si strutturasse neanche quale summa delle anagrafi comunali, come ribadito – con riferimento agli aspetti della protezione dei dati personali – dal Garante della Privacy (v., in particolare, parere dd. 29 maggio 2000 e nota allegata). Ciò aveva giocoforza limitato la funzionalità dell’INA, il quale era in grado unicamente di trattenere il dato anagrafico, di cui resta titolare l’anagrafe comunale, per lo stretto tempo necessario alla p.a. richiedente per poter attingere le informazioni di suo interesse disponibili nel sistema.
Il legislatore, quindi, ha preso atto della cogenza delle esigenze prima cennate, ed ha portato alle estreme conseguenze il percorso già avviato con l’INA, facendo convergere le 8.092 anagrafi esistenti presso i Comuni italiani in un’unica “mega-anagrafe” nazionale.
 
Per capire come si strutturerà, anche nel dettaglio normativo, la nuova ANPR dovrà attendersi l’adozione di decreti attuativi, i quali segneranno un tragitto che dovrà portare alla messa a regime del nuovo sistema entro il 31 dicembre 2014.
Possono, comunque, già delinearsi alcuni effetti ictu oculi registrabili con l’introduzione dell’innovativa disciplina, alcuni dei quali espressamente sanciti dall’art. 2 in commento:
-          acquisibilità da parte di tutte le pp.aa. dell’informazione anagrafica in tempo reale; questa funzionalità risulta tanto più rilevante a seguito dell’introduzione del “cambio di residenza in tempo reale” (v. supra);
-          titolarità del trattamento dei dati anagrafici contenuti in ANPR in capo al Ministero dell’interno; è già così per l’INA, ma la titolarità del trattamento dei dati contenuti nelle anagrafi comunali è, sino ad oggi, attribuita al Sindaco, o suo delegato, che è responsabile anche dell’attuazione delle misure di sicurezza;
-          integrazione in ANPR dei dati dei cittadini provenienti da anagrafi istituite presso altre pp.aa. (in ciò acquisendo la nuova anagrafe una peculiare “forza espansiva”) oltre che delle informazioni relative alle carte d’identità ai medesimi rilasciate;
-          esclusività dell’ANPR come fornitore per le pp.aa. dei dati essenziali sui cittadini, sgombrando il campo dalla molteplicità dei sistemi informativi attualmente esistenti (di frequente patrocinati dalle Regioni), e inevitabilmente parziali, perché comprendenti i dati anagrafici delle persone residenti in un novero limitato di Comuni;
-          interoperabilità di ANPR con altre banche dati di rilevanza nazionale e regionale;
-          utilizzo di ANPR come supporto informativo e infrastruttura tecnologica per l’erogazione di altri servizi pubblici (ad es. in materia di stato civile).
Una delle implicazioni più importanti dell’introduzione dell’Anagrafe nazionale viene espressamente individuata dall’art. 3 D.L. 179/2012, vale a dire la possibilità – da attuarsi con un emanando D.P.C.M. – di realizzare il censimento generale della popolazione e delle abitazioni, da parte dell’ISTAT, non più con cadenza decennale ma annuale, in considerazione della necessità per ogni governo, centrale o locale che sia, di disporre di informazioni sulle caratteristiche e sul movimento della popolazione in maniera approfondita e aggiornata con tempistiche più ridotte di quelle tradizionali, evitando altresì di incorrere nelle “famigerate” sparizioni di fette anche consistenti di popolazione residente, come di consueto si registra al termine delle operazioni censuarie decennali.
Il medesimo art. 3 si occupa anche di disciplinare l’Archivio nazionale dei numeri civici delle strade urbane (identificato dall’impronunciabile acronimo ANNCSU), parimenti ispirato alle esigenze di centralizzazione e allineamento delle informazioni anagrafiche, e che comporterà novità negli adempimenti topografici ed ecografici degli ufficiali d’anagrafe.
 
Infine, deve citarsi, seppur sommariamente, l’introduzione – ad opera dell’art. 4 D.L. 179/2012 – del concetto di “domicilio digitale del cittadino”.
Si tratta, invero, di un indirizzo di posta elettronica certificata direttamente riferibile ad un cittadino, che ha la finalità di facilitare la comunicazione tra pp.aa. e cittadini.
Quella di dotarsi di un domicilio digitale, pur trattandosi di una facoltà per il cittadino, determina – oltre che un notevole risparmio economico e di tempo per i soggetti che lo utilizzano – anche conseguenze giuridiche rilevanti, visto che – ai sensi dell’art. 16-bis, comma 5, del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, convertito dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2 (cui l’art. 4 in esame rinvia) – l’utilizzo di detta PEC ha effetto equivalente alla notificazione per mezzo della posta (si vedano anche gli artt. 6 e 48 del CAD).
Il problema della consultabilità di detti indirizzi virtuali da parte delle pp.aa. – già avvertito nella formulazione delle modifiche operate dal D.Lgs. 30 dicembre 2010, n. 235, all’art. 6 del CAD – viene risolto dall’art. 4 D.L. 179/2012 in commento inserendo l’indirizzo digitale nell’Anagrafe nazionale, e, quindi, rendendolo disponibile a tutti gli uffici pubblici e i gestori di pubblici servizi connessi all’ANPR.
Anche questa innovazione attende, per la sua operatività, l’emanazione di un decreto attuativo, che verrà adottato col contributo consultivo dell’Agenzia per l’Italia digitale, istituita con il primo “decreto crescita” (D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134), cui spetta anche il compito di predisporre, ai sensi dell’art. 2-bis D.L. 179/2012, le regole tecniche per l’identificazione delle basi di dati critiche tra quelle di interesse nazionale (quali l’ANPR), e di definirne le modalità di aggiornamento.
Va ancora rimarcato come, modificando la precedente disciplina delle comunicazioni elettroniche tra p.a. e cittadino, a decorrere dal 1° gennaio 2013 le amministrazioni pubbliche e i gestori o esercenti di pubblici servizi dovranno comunicare con il cittadino esclusivamente tramite il predetto domicilio digitale dallo stesso dichiarato, laddove questi – ovviamente – si sia avvalso della facoltà di dotarsene.
 
In conclusione di questa necessariamente rapida carrellata delle recenti novità legislative interessanti il servizio anagrafico, e prendendo spunto da quest’ultimo riferimento al domicilio digitale, può tracciarsi un primo quadro d’insieme della nuova disciplina anagrafica.
Soprattutto le innovazioni introdotte dal secondo decreto crescita, che pongono il servizio anagrafico al centro dell’Agenda digitale italiana – quale strumento per incrementare la produttività della macchina amministrativa e per ridurre gli oneri burocratici per i cittadini – rendono evidente lo spirito che informa il complessivo intervento riformatore, ossia la completa digitalizzazione del servizio anagrafico, intesa non più (solo) come metodo di automazione del processo gestionale, ma come essenza stessa dell’anagrafe nel presente e nel futuro.
L’attuale normativa di settore in materia di servizio anagrafico, in attesa delle necessarie emende che la interesseranno a seguito delle disposizioni qui analizzate, contiene disposizioni per “la formazione e la tenuta degli atti anagrafici” (L. 1228 del 1954), e configura l’anagrafe quale “raccolta sistematica” di posizioni relative a persone residenti nel Comune, “costituita da schede individuali, di famiglia e di convivenza” (D.P.R. 223 del 1989).
L’art. 2 D.L. 179/2012, per la prima volta, definisce invece l’anagrafe quale “base di dati”, predisposta al fine dell’acquisizione automatica dei dati in via telematica.
Il passaggio da schedario (cartaceo od informatico, la natura non cambia) di posizioni personali o famigliari nettamente e previamente determinate, a data-base di immediata consultazione e agevole fruibilità da parte delle pp.aa., nonché potenzialmente aperto ad informazioni eterogenee rispetto a quelle strettamente anagrafiche, finisce per mutare la fisionomia stessa del servizio, storicamente inserito – utilizzando una categoria di sandulliana reminiscenza – tra i compiti primari di organizzazione dello Stato.
Invero, ANPR e domicilio digitale del cittadino si appalesano come strumenti aventi finalità che vanno al di là delle funzioni tradizionali del servizio anagrafico (statistica e di registrazione del movimento della popolazione), rafforzando enormemente l’altra funzione dell’anagrafe, quella certificativa, intesa, tuttavia ora, nella sua dimensioni prettamente informativa.
Argomento a sostegno di questa “anima” ormai “essenzialmente digitale” dell’anagrafe è anche la considerazione che la nuova disciplina testé commentata del servizio anagrafico non è stata introdotta modificando la normativa di settore (la L. 1228/1954 e il D.P.R. 223/1989 non sono stati sinora intaccati), ma emendando il CAD, visto che l’art. 2 D.L. 179/2012 ha completamente riscritto il suo art. 62 (ANPR), e l’art. 4 D.L. citato ha inserito nel corpo del CAD il nuovo art. 3-bis (Domicilio digitale del cittadino).
Difficile dire se la trasformazione dell’ufficiale d’anagrafe da soggetto certificatore a immettitore/dispensatore di informazioni in un grande, unico, archivio di dati personali costituisca una evoluzione, o piuttosto, una rivoluzione nell’attuale operatività delle anagrafi italiane.
Così come forse troppo ottimistiche sono le ambizioni – ricollegate dal Governo all’esaminate misure, e alle altre adottate in attuazione dell’Agenda digitale italiana – “di maggiore produttività e competitività”, “di risparmio e coesione sociale”, di “efficace leva per la crescita occupazionale”, di “spinta strutturale per la realizzazione delle strategie, delle politiche e dei servizi di infrastrutturazione e innovazione tecnologica del Paese” (così recita il già citato comunicato stampa governativo).
Di certo, siamo alle prese in questo servizio, così vicino a ciascuno di noi, con un passaggio epocale, che vedrà coinvolti tutti gli attori del sistema – non solo gli ufficiali d’anagrafe – a cominciare dal più diretto ruolo che svolgerà il Ministero dell’interno, principale cardine dall’Anagrafe nazionale, e da quello che necessariamente spetterà alle Prefetture, nel loro inveterato compito di cerniera tra Stato centrale ed enti locali, e di presidio di legalità a garanzia dei diritti di ogni cittadino.

 

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