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Le informazioni prefettizie antimafia: natura e criticità

Sommario. 1. Informative prefettizie e certificazioni antimafia: evoluzione normativa.

1.Informative prefettizie e certificazioni antimafia: evoluzione normativa.

Essenziale al fine di escludere la penetrazione delle cosche mafiose nel mondo degli appalti risulta la verifica da parte dell'amministrazione della documentazione attestante la non ricorrenza delle cause impeditive ed ostative.

In questo ambito un ruolo centrale riveste l'acquisizione della cd. certificazione antimafia: l'originaria connotazione dell'istituto, di cui all'art. 10 sexies della legge n. 575 del 1965, come introdotto dalla legge n. 55/1990, subordinava il rilascio di provvedimenti ampliativi e la stipulazione dei contratti da parte della P.A. alla presentazione, ad opera dell'istante o del richiedente, della cd. certificazione antimafia, ossia di certificazione, rilasciata dalla Prefettura, attestante la pendenza di procedimenti per l'applicazione della misura di prevenzione nonché la sussistenza di provvedimenti di applicazione di una misura di prevenzione o di condanna ovvero di provvedimenti irrogativi di divieti, sospensioni e decadenze di cui all'art. 10 della legge n. 575/1965[1].


 L'originaria connotazione dell'istituto, contemplante la possibilità di rilascio del certificato su istanza del diretto interessato, è stata modificata in profondità con il decreto legislativo 8 agosto 1994, n. 490, emanato in attuazione della legge di delega n. 47 del 17 gennaio 1994.

L'istituto della certificazione è stato così sostituto con il sistema delle cosiddette "cautele antimafia", caratterizzato dall'eliminazione del certificato antimafia su richiesta del privato.

La disciplina, delle comunicazioni e delle informative antimafia, è stata poi significativamente razionalizzata[2] (o almeno ciò era nelle intenzioni del Governo) dal d.p.r. 3 giugno 1998, n. 252, che ha accorpato in una sorta di testo unico regolamentare (aggiungendo alcune novità normative) le disposizioni in subiecta materia contenute in diversi testi normativi tra cui, in particolare, il d. lgs. 8 agosto 1994, n. 490 [3].

Già con la legge 17 gennaio 1994, n. 47, il Governo veniva delegato ad emanare nuove disposizioni in materia di comunicazioni e di certificazioni di cui alla L. n. 575 del 1965, stabilendo "nuove modalità di compilazione, aggiornamento e trasmissione, anche per via telematica, dei dati e l'obbligo di consultazione degli stessi prima di adottare i provvedimenti o di autorizzare i contratti ed i subcontratti di cui all'articolo 10 della medesima legge n. 575 del 1965, e successive modificazioni". A tale decreto veniva, inoltre, rinviata l’individuazione dei casi in cui l’interessato avrebbe potuto avvalersi dell’autocertificazione e soprattutto la definizione dei limiti di valore oltre ai quali alle Pubbliche amministrazioni e agli Enti pubblici non sarebbe stato consentito stipulare contratti, nè rilasciare le previste erogazioni, se non dopo aver accertato presso le Prefetture l’inesistenza, nei confronti degli interessati e dei loro familiari conviventi, delle cause di divieto previste dalla L. n. 575/65.

In attuazione di tale delega fu promulgato il Decreto Legislativo 8 agosto 1994, n. 490, il cui comma 1 dell’art. 2 prevedeva, in attuazione di specifici progetti di informatizzazione della Pubblica amministrazione, che fossero attivati collegamenti tra le Prefetture e le altre amministrazioni pubbliche per la trasmissione, in via informatica o telematica, delle segnalazioni circa la sussistenza delle cause di divieto o di sospensione di cui all'allegato 1 al D. Lgs. n. 490.

La novità assoluta che si presentava consisteva nel fatto che non doveva più essere l'impresa interessata a produrre la "certificazione antimafia", ma era compito della Pubblica amministrazione acquisirla, prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti o subcontratti, ovvero prima di rilasciare o consentire concessioni, autorizzazioni, licenze od altro, presentando apposita richiesta alla competente Prefettura[4].

La Prefettura veniva, quindi, gravata dell’obbligo di trasmettere alle amministrazioni richiedenti le informazioni concernenti la sussistenza o meno delle cause di divieto o di sospensione previste dalla L. n. 575 del 1965.

Già la legge 15 marzo 1997, n. 59, prevedeva la semplificazione della "certificazione antimafia": la successiva legge 15 maggio 1997, n. 127, spingendosi oltre la stessa semplificazione, aveva previsto la possibilità di abrogare del tutto le disposizioni vigenti in materia di certificazione antimafia "ove gli obblighi da esse previsti non fossero più rilevanti ai fini della lotta alla criminalità organizzata".

L'art. 15 del D.L. 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, n. 135, aggiunse all'art. 2 del D. Lgs. n. 490 del 1994 altri tre commi, i quali avrebbero in seguito dato il via alla prevista informatizzazione e ai collegamenti informatici e telematici. Soltanto nel corso del 2008 attivato il collegamento telematico tra il sistema informativo delle Camere di Commercio e il sistema informativo del Ministero dell'interno messo a disposizione della Prefettura di Roma contenente l'elenco delle persone alle quali sono stati comminati i provvedimenti di cui all'articolo 10 della L. n. 575 del 1965 [5].

I punti salienti della nuova disciplina in materia sono stati individuati nell’attivazione del collegamento informatico o telematico fra il sistema informativo delle Camere di Commercio e quello di servizio di una o più Prefetture, in modo da attestare con strumenti automatizzati e in base ai dati relativi alle iscrizioni nei registri delle predette camere di commercio e nel registro delle imprese l’inesistenza delle cause di divieto o di sospensione; l’equiparazione delle attestazioni delle Camere di Commercio recanti l’apposita dicitura alle comunicazioni della Prefettura inerenti la inesistenza delle predette cause di divieto o di sospensione; l’accessibilità alle Prefetture competenti delle segnalazioni relative al rilascio delle attestazioni.

E’ stata, inoltre, introdotta la possibilità per gli imprenditori iscritti al Registro delle imprese, attraverso un collegamento informatico o telematico fra il sistema informativo delle Camere di Commercio e quello del Ministero dell'Interno, di acquisire una specifica attestazione, rilasciata dalla Camera di Commercio attestante l'inesistenza delle cause di divieto, di decadenza o di sospensione.

Il D.P.R. n. 252 del 3 giugno 1998 - entrato in vigore il 29 settembre 1998 – ha ulteriormente semplificato, in modo massiccio, i procedimenti oggi necessari per il rilascio delle comunicazioni e delle informazioni antimafia riducendo in misura significativa il campo di applicazione della normativa antimafia.

Innanzitutto l’art. 9 del D.P.R. n. 252/98 ha previsto che “le certificazioni delle camere di commercio fossero equiparate alle comunicazioni (della prefettura) qualora riportassero in calce la apposita dicitura[6]. Inoltre il comma 1 dell’art. 6, dello stesso D.P.R. citato disponeva l’equiparazione delle certificazioni o attestazioni delle camere di commercio alle comunicazioni delle prefetture attestanti l'insussistenza delle cause di decadenza, divieto o sospensione di cui all'articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575.

Le novità più importanti introdotte dal D.P.R. n. 252/1998 possono essere così sintetizzate: le comunicazioni e le dichiarazioni sostitutive di cui agli articoli 2 e 3 del D. Lgs. n. 490/94 (ora entrambi abrogati) non saranno più richieste: a) per i rapporti fra le pubbliche amministrazioni, gli enti pubblici, enti e aziende vigilati dallo Stato, altri enti pubblici e società o imprese comunque controllate dallo Stato; b) per i rapporti fra i soggetti pubblici di cui alla lettera a) e altri soggetti, anche privati, i cui organi rappresentativi e quelli aventi funzioni di amministrazione e di controllo sono sottoposti, per disposizione di legge, alla verifica di particolari requisiti di onorabilità tali da escludere la sussistenza di una delle cause di sospensione, di decadenza o di divieto previste dall'art. 10 della L. n. 575/65; c) per il rilascio e il rinnovo delle autorizzazioni o licenze di polizia di competenza delle autorità di P.S.; d) per la stipulazione e approvazione di contratti e per la concessione di erogazioni a favore di chi esercita attività agricole, artigiane o professionali, non organizzate in forma di impresa, nonché a favore di chi esercita attività artigiana in forma di impresa individuale; e) per i provvedimenti, gli atti, i contratti e le erogazioni il cui valore complessivo non superi i 300 milioni di vecchie lire (art. 1. comma 2, D.P.R. n. 252/1998).

Il regolamento, oltre ad introdurre considerevoli esenzioni, prevedeva anche una semplificazione delle procedure nei casi in cui restava l'obbligo della certificazione. In primo luogo si stabilì che il certificato sarebbe stato utilizzabile per sei mesi mentre per i contratti che riguardano lavori o forniture urgenti, si introdusse la possibilità di ricorrere all'autocertificazione.

Il predetto regolamento, ha inoltre limitato la “certificazione antimafia” richiesta dalle stazioni appaltanti pubbliche per la stipulazione di contratti per lavori, forniture e servizi superiori al valore di 300 milioni delle vecchie lire, pari ad euro 154.937,07 (oltre che per i subcontratti, cessioni o cottimi, concessioni di acque pubbliche o di beni demaniali per lo svolgimento di un’attività economica e, in generale, per l’erogazione di contributi o finanziamenti, iscrizione ad albi di forniture e rilascio di licenze) [7].

Al termine della breve analisi svolta si può ritenere che la “certificazione antimafia” si articoli, nelle due categorie della comunicazione (art. 3 del d.p.r. n. 22/1998) e dell’informazione antimafia (art. 10 del d.p.r. n. 252/1998): il discrimen tra i due tipi di atti è dettata dall’entità dell’importo e dall’oggetto del contratto[8]. Per i contratti e gli atti di rilevanza minore, la comunicazione è rilasciata dalla Camere di Commercio o dalla Prefettura quando il certificato camerale è privo del nulla osta antimafia o quando i collegamenti telematici non consentono il rilascio della liberatoria circa l’insussistenza di una causa interdittiva.

 Certificazione antimafia ed informativa prefettizia di cui all’art. 10 del D.P.R. n. 252/1998, sono preordinate ad assolvere a funzioni diverse, consistenti rispettivamente nell’accertamento della sussistenza o meno delle situazioni ostative di cui all’art. 10 della Legge 31 maggio 1965 n. 575 (decadenza, sospensione o divieto determinati dalla definitiva applicazione di misure di prevenzione antimafia, da sentenze penali di condanna o da altri provvedimenti del tribunale) e nell’acquisizione di notizie inerenti ai tentativi di infiltrazione mafiosa[9].

Sarà, dunque, richiesta la “comunicazione” della Prefettura solamente nel caso in cui il certificato del Registro delle imprese non sia munito della dicitura antimafia [10] o quando il privato non sia in possesso della iscrizione in detto Registro [11].

Più pregnante è “il mondo” delle informative prefettizie, disciplinato dagli artt. 10 e 11 del d.p.r. n. 252/1998: tale regolamentazione obbliga le amministrazioni e i soggetti equiparati ad acquisire tali informazioni prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti di rilievo comunitario o i subcontratti, le cessioni o i cottimi di valore superiore ai 300 milioni delle vecchie lire[12].

Infatti, ove emergano elementi relativi a “tentativi di infiltrazione mafiosa nelle società o imprese interessate”, le amministrazioni non possono stipulare, approvare o autorizzare i contratti o subcontratti citati, né autorizzare, rilasciare o comunque consentire concessioni ed erogazioni. E’ evidente, tuttavia, che la legge delega distingue la disciplina di semplificazione in materia di certificazioni antimafia dall’istituto, di nuova previsione, delle informazioni antimafia: mentre le certificazioni antimafia riguardano tutti gli effetti interdittivi previsti dall’art. 10 della legge 575/1965 (in sintesi autorizzazioni, concessioni, finanziamenti e contratti), le informazioni antimafia vanno richieste solo al fine della stipula dei contratti con la P. A. ovvero prima del rilascio di concessioni o finanziamenti.

Per unanime convincimento due sono le categorie di informative contemplate dall’art. 10, comma 7, del d.p.r. n. 252/1998: la prima accomuna le lettere a) e b) di tale comma ed ha natura meramente ricognitiva di provvedimenti giudiziari di applicazione di misure cautelari o di sottoposizione a giudizio o di adozione di sentenze di condanna o di applicazione (o anche di mera proposta) di misure interdittive [13].

Le informazioni al Prefetto [14] sono richieste dall'amministrazione interessata, o dal soggetto privato interessato o da persona da questi specificamente delegata, previa comunicazione all'amministrazione destinataria di voler procedere direttamente a tale adempimento. In questo caso la delega deve risultare da atto recante sottoscrizione autenticata. In ogni caso la Prefettura fa pervenire le informazioni direttamente all'Amministrazione indicata dal richiedente.

Nella richiesta devono essere indicati l'oggetto e il valore del contratto, subcontratto, concessione od erogazione e alla stessa deve essere allegato un certificato d'iscrizione nel Registro delle imprese recante la dicitura antimafia.

In luogo del predetto certificato può essere presentata una dichiarazione, sottoscritta dal titolare, dal legale rappresentante o da altro soggetto legalmente abilitato, contenente i medesimi contenuti del predetto certificato, esclusa la dicitura antimafia. Le certificazioni e le comunicazioni sono utilizzabili per un periodo di sei mesi dalla data del loro rilascio, anche per altri procedimenti riguardanti i medesimi soggetti.

E' consentito all'interessato utilizzare le certificazioni e le comunicazioni, in corso di validità conseguita per altro procedimento, anche in copia autentica (art. 2, comma 1, D.P.R. n. 252/1998).

Particolarmente significativa è la previsione dell'articolo 2, comma 2, che consente all'Amministrazione di adottare il provvedimento richiesto e gli atti conseguenti o esecutivi, compresi i pagamenti, anche se il provvedimento o gli atti sono perfezionati o eseguiti dopo che sia scaduto il periodo di validità della stessa documentazione[15].

In conclusione il quadro delle tipologie degli atti idonei ad attestare la sussistenza o meno delle situazioni generatrici di effetti interdittivi previsti dalla normativa antimafia risulta ampiamente innovato.

Le tipologie oggi esistenti sono le seguenti: i “certificati” rilasciati dalla Camera di Commercio, recanti la "dicitura antimafia"[16], utilizzando il collegamento telematico con il sistema informativo della Prefettura di Roma: tali certificazioni sono utilizzabili per tutti i rapporti con la Pubblica amministrazione e hanno effetto liberatorio circa l'insussistenza di interdizioni antimafia per i rapporti di valore inferiore a quelli indicati nell'articolo 10, comma 1, lettera a), del regolamento.

Le “autocertificazioni”, con le quali l'interessato attesta che nei propri confronti non sussistono cause di divieto, di decadenza o di sospensione. Esse sono utilizzabili solo nei casi previsti dall'articolo 5, ovvero nei casi d'urgenza di cui all'articolo 11, comma 2, del regolamento, quando non viene esibito il certificato camerale o questo sia privo dell'apposita dicitura antimafia[17].

I “collegamenti telematici”, utili soltanto per l'attestazione della insussistenza delle cause interdittive di cui all'articolo 10 della legge n. 575/1965 e che sono attualmente utilizzati per le iscrizioni nei Registri, Ruolo, Albi ed Elenchi tenuti dalle Camere di Commercio e possono essere attivati anche con altre Pubbliche amministrazioni.

Le “comunicazioni scritte” della Prefettura - U.T.G. competente per territorio nella provincia in cui ha sede legale l’impresa, finalizzate all'attestazione della sussistenza o meno delle cause di divieto, di decadenza o di sospensione di cui all'articolo 10 della Legge n. 575/1965. Tali comunicazioni, come visto, possono essere richieste anche dall'interessato, direttamente o tramite un proprio delegato, solo quando i certificati della Camera di Commercio sono privi della dicitura antimafia e, comunque, quando i collegamenti telematici [18] non rilasciano l'indicazione liberatoria circa l'insussistenza delle predette cause interdittive.

Le “informazioni scritte” del Prefetto, finalizzate all'attestazione della sussistenza o meno di "tentativi di infiltrazione mafiosa", rilasciate sulla base dei presupposti e con le modalità di cui agli articoli 10, 11 e 12 del regolamento approvato con il DPR n. 252/1998 [19].

   1. 3.                 Le recenti modifiche alla disciplina delle misure di prevenzione antimafia

 

La materia delle misure di prevenzione antimafia, di cui alla legge 31 maggio 1965, n. 575, recante "Disposizioni contro la mafia", è stata recentemente modificata dal pacchetto- sicurezza (l. n.94/2009).

Come è noto, il nostro ordinamento, accanto alle misure cautelari e di sicurezza, previste, rispettivamente, dagli artt. 13 e 25 Cost., prevede e disciplina le misure di prevenzione. Queste ultime si caratterizzano per il fatto di trovare applicazione indipendentemente dalla commissione di un precedente reato. Esse costituiscono espressione del principio di “prevenzione e sicurezza sociale, per il quale l’ordinato e pacifico svolgimento dei rapporti fra i cittadini deve essere garantito, oltre che dal sistema di norme repressive dei fatti illeciti, anche da un parallelo sistema di adeguate misure preventive contro il pericolo del loro verificarsi nell’avvenire”[20] .

Le misure di prevenzione possono avere natura personale[21] o patrimoniale.

La legge n. 575/1965 ha esteso le misure di prevenzione di natura personale di cui alla legge n. 1423/1956 agli indiziati di appartenere ad associazioni mafiose, camorristiche e assimilabili e ha previsto (artt. 2-bis e ss., aggiunti dalla legge 13 settembre 1982, n. 629) la possibilità di disporre nei confronti dei suddetti soggetti misure preventive di carattere patrimoniale (quali il sequestro e la confisca).

La possibilità di disporre misure di prevenzione patrimoniali di cui alla legge n. 575/1965 è stata poi estesa (dall’art. 19 della legge 22 maggio 1975, n. 152) ad alcuni degli originari destinatari delle misure personali di cui alla legge n. 1423/1956, ossia a coloro che debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono abitualmente dediti a traffici delittuosi; coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose.

Fatta questa premessa meritano menzione alcune tra le più recenti iniziative legislative in materia: si consideri che nella XIV legislatura, la Commissione Giustizia della Camera dei deputati ha approvato, in sede referente, il disegno di legge governativo A. C. 5362-A, recante "Delega al Governo per il riordino della disciplina in materia di gestione e destinazione delle attività e dei beni sequestrati o confiscati ad organizzazioni criminali". L’iter legislativo non si è tuttavia concluso.

Nella XV legislatura, sempre alla Camera, è stato presentato, senza che ne iniziasse l’esame, il disegno di legge governativo, recante "Misure di contrasto alla criminalità organizzata. Delega al Governo per l'emanazione di un testo unico delle misure di prevenzione. Disposizioni per il potenziamento degli uffici giudiziari e sul patrocinio a spese dello Stato" (A. C. 3242).

Il recente decreto sicurezza (d.l. n. 92/2008)  convertito con modifiche in legge n. 125/2008, come licenziato dal Consiglio dei ministri dedicava alla materia delle misure di prevenzione tre articoli.

L'art. 10 modificava in più punti la legge 575/1965, in particolare potenziando il ruolo svolto dalle procure distrettuali nei procedimenti per l'applicazione delle misure di prevenzione antimafia[22].

La relazione illustrativa del decreto sicurezza affermava che da più parti era stata evidenziata l'incongruenza della normativa previgente in tema di attribuzioni del pubblico ministero in materia di misure di prevenzione, in quanto essa prevedeva che fosse il pubblico ministero localmente competente ad effettuare le indagini e ad intervenire nel corso del procedimento di applicazione delle misure di prevenzione. E' stato invece ritenuto opportuno che, per quanto concerne le misure di prevenzione antimafia, venisse valorizzata l'esperienza delle direzioni distrettuali antimafia, detentrici di un patrimonio informativo notevolissimo in materia.

Per tale motivo, il decreto sicurezza ha modificato l'art. 2 della legge 575/1965, relativo alle misure di prevenzione personali, inserendo tra i soggetti competenti a proporre l'applicazione di tali misure nei confronti degli indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, camorristico, ecc., il procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto ove dimora la persona (procuratore distrettuale, che ha così preso il posto del procuratore della Repubblica presso il tribunale nel cui circondario dimora la persona) e il direttore della Direzione investigativa antimafia (DIA).

Analogamente, il decreto sicurezza nella sua formulazione originaria attribuiva al procuratore distrettuale con riferimento ai reati previsti dall'art. 51, comma 3-bis, c. p. p., i poteri elencati dagli artt. 2-bis, primo comma, (competenza a compiere indagini su tenore di vita, disponibilità finanziarie e patrimonio); 2ter (relativo al procedimento per l'applicazione delle misure patrimoniali del sequestro e della confisca); 3-bis, settimo comma, (proposta di rinnovazione della cauzione); 3-quater (indagini integrative in materia di attività economiche sottoposte a intimidazione o assoggettamento mafioso) e 10-quater della legge 565/1975 (in materia di decadenza da licenze, concessioni, ecc.).

L'art. 2, comma 1, lettera b), del decreto sicurezza ha modificato l'art. 371-bis c. p. p., che disciplina l'attività di coordinamento del procuratore nazionale antimafia, estendendo i poteri di coordinamento di quest'ultimo anche alla materia delle misure di prevenzione.

La relazione sullo stato di attuazione della normativa e delle prassi applicative in materia di sequestro, confisca e destinazione dei beni della criminalità organizzata prodotta nella scorsa legislatura dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare[23] segnalava al riguardo la necessità di procedere a modifiche normative nel senso della recisione del nesso di pregiudizialità tra le misure di prevenzione personali e le misure patrimoniali, al fine di assicurare la possibilità di ricorrere alle misure patrimoniali indipendentemente dalla persistenza delle condizioni personali per la loro applicazione; prevedere, conseguentemente, la possibilità che, in caso di morte del proposto, il procedimento di prevenzione patrimoniale continui nei confronti degli eredi quali beneficiari di un illecito arricchimento, senza la prevenzione di alcun termine di decadenza dall'azione[24].

L’intervento armonizza l'oggetto della misura di prevenzione con quello della misura di sicurezza patrimoniale applicata a seguito di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, ai sensi dell’art. 12-sexies, comma 1, del decreto-legge 306/1992 (c.d. confisca obbligatoria dei valori ingiustificati).

Si segnala, infine, l’atto A.S. 733-A, il cui art. 20, inserito nel corso dell'esame in commissione, modifica il decreto legislativo 8 agosto 1994, n. 490, recante "Disposizioni attuative della legge 17 gennaio 1994, n. 47, in materia di comunicazioni e certificazioni previste dalla normativa antimafia" oggi confluito nell'art. 2 della  l. n. 94/2009.

 Per l'espletamento delle funzioni volte a prevenire infiltrazioni mafiose nei pubblici appalti, esso attribuisce al prefetto il potere di disporre accessi[25] ed accertamenti nei cantieri delle imprese interessate all'esecuzione di lavori pubblici, avvalendosi a tal fine dei gruppi interforze di cui all'art. 5, comma 3, del D.M. 14 marzo 2003. L'art. 21 dell'A.S. 733-A, inserito nel corso dell'esame in commissione, modificando il decreto-legge 6 giugno 1982, n. 629, recante misure urgenti per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa, ha aggiornato - alla luce degli sviluppi della normativa antiriciclaggio - l'elenco dei soggetti presso i quali possono essere svolti accessi e accertamenti al fine di verificare se ricorrano pericoli di infiltrazione da parte della delinquenza di tipo mafioso.

A tale riguardo, si è suggerito in sede parlamentare di razionalizzare il sistema delle stazioni appaltanti tendendo alla concentrazione delle gare in una stazione unica, quantomeno a livello provinciale; limitare la possibilità del ricorso al subappalto, strumento attraverso il quale la criminalità organizzata fa proprie le risorse destinate alla realizzazione di opere pubbliche.

La tematica del subappalto, infatti, pone alcuni rilevanti problemi, in quanto la possibilità offerta all'appaltatore di ricorrervi per l'esecuzione dell'opera commissionata consente, in astratto, di aggirare le norme in materia di evidenza pubblica, e segnatamente quelle di ordine pubblico in materia di controlli antimafia.

Si è, quindi, evidenziata la necessità di rivedere l'applicabilità dell'istituto dell'avvalimento (art. D.lgs.n. 163/2006) che, recepito direttamente dalle norme comunitarie, non appare coordinato con le norme vigenti in materia di subappalto ed in materia di sistema di qualificazione delle imprese; rinforzare il valore del sistema di qualificazione delle imprese che partecipano alle gare di appalto di opere pubbliche, anche attraverso l'esplicito riconoscimento della natura pubblicistica delle SOA (Società organismi di attestazione)[26].

Parimenti andrebbe riconsiderato l'ampliamento del ricorso alla trattativa privata, inserito nella disciplina introdotta dal Codice del 2006, rispetto alla tradizionale chiusura operata dalla legge Merloni; tale ampliamento sembra sottovalutare il rischio di collusioni tra stazione appaltante ed operatore privato che la legge n. 109 del 1994 si proponeva di arginare; Bisognerebbe altresì rivedere la normativa relativa al Contraente generale, tenendo conto che i limiti più evidenti della stessa sono da individuare: nella privatizzazione di rapporti «a valle» del Contraente generale; nella mancata previsione di specifici controlli nella fase di cantierizzazione dell'opera, in cui più frequentemente si manifestano fenomeni di infiltrazione mafiosa; nella mancata previsione di verifiche antimafia anche per gli affidamenti e subaffidamenti di forniture e non solo «per l'affidamento al contraente generale» e per «gli affidamenti e subaffidamenti di lavori», come previsto dall'articolo 176, comma 8 del Codice dei contratti pubblici;

Infine si è proposto, in sede parlamentare, di favorire - sin dalla fase di definizione del bando - lo sviluppo dei protocolli di legalità, che nei territori dove vengono applicati stanno fornendo risultati positivi, incoraggiando l'adozione di protocolli di nuova generazione, nella considerazione che una corretta ed efficace politica di prevenzione antimafia non può basarsi esclusivamente sulle investigazioni, ma deve comprendere misure finalizzate alla rimozione degli ostacoli che l'infiltrazione mafiosa frappone allo sviluppo al libero esercizio dell'attività di impresa, nei limiti in cui esso è garantito dalla Costituzione; incoraggiare, l'inserimento di clausole specifiche di impegno, da parte dell'impresa aggiudicataria, a denunciare eventuali tentativi di estorsione, pena l'esclusione dall'albo degli appaltatori della stazione appaltante; favorire l'adozione di protocolli di legalità finanziaria per la tracciabilità dei movimenti finanziari, con l'adozione contestuale di conti correnti dedicati riferiti all'opera pubblica, sui quali far transitare anche i pagamenti ai lavoratori dipendenti. Scelta, questa, che rende più trasparente il rapporto di lavoro, la sua legalità e, insieme, la sicurezza nei cantieri[27].
 
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[1] E' necessario precisare che l'art. 2 della l. n. 94/2009 il c.d. pacchetto sicurezza apporta significative modifiche alla disciplina della legge n. 575 del 1965 e della legge n. 55/1990 oltre che al  decreto legislativo 8 agosto 1994, n. 490. L'art. 2 della l. 94/2009 prevede che al  decreto legislativo 8 agosto 1994, n. 490, recante disposizioni attuative della legge 17 gennaio 1994, n. 47, in materia di comunicazioni e certificazioni previste dalla normativa antimafia, sono apportate le seguenti modificazioni: a) nel titolo sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «nonchè disposizioni concernenti i poteri del prefetto in materia di contrasto alla criminalità organizzata»;b) dopo l'articolo 5 è inserito il seguente:«Art. 5-bis. - (Poteri di accesso e accertamento del prefetto). - 1. Per l'espletamento delle funzioni volte a prevenire infiltrazioni mafiose nei pubblici appalti, il prefetto può disporre accessi ed accertamenti nei cantieri delle imprese interessate all'esecuzione di lavori pubblici, avvalendosi, a tal fine, dei gruppi interforze di cui all'articolo 5, comma 3, del decreto del Ministro dell'interno 14 marzo 2003, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 54 del 5 marzo 2004.2. Con regolamento da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, di concerto con il Ministro dell'interno, il Ministro della giustizia, il Ministro dello sviluppo economico e il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sono definite, nel quadro delle norme previste dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 giugno 1998, n. 252, le modalità di rilascio delle comunicazioni e delle informazioni riguardanti gli accessi e gli accertamenti effettuati presso i cantieri di cui al comma 1». Infine sempre l'art. 2 introduce alcune modifiche in relazione allo scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni mafiose anche in relazione al tentativo di "pilotare" l'assegnazione di appalti. 2. Al fine di verificare la sussistenza degli elementi di cui al comma 1 anche con riferimento al segretario comunale o provinciale, al direttore generale, ai dirigenti ed ai dipendenti dell'ente locale, il prefetto competente per territorio dispone ogni opportuno accertamento, di norma promuovendo l'accesso presso l'ente interessato. In tal caso, il prefetto nomina una commissione d'indagine, composta da tre funzionari della pubblica amministrazione, attraverso la quale esercita i poteri di accesso e di accertamento di cui è titolare per delega del Ministro dell'interno ai sensi dell'articolo 2, comma 2-quater, del decreto-legge 29 ottobre 1991, n. 345, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 1991, n. 410. Entro tre mesi dalla data di accesso, rinnovabili una volta per un ulteriore periodo massimo di tre mesi, la commissione termina gli accertamenti e rassegna al prefetto le proprie conclusioni.
3. Entro il termine di quarantacinque giorni dal deposito delle conclusioni della commissione d'indagine, ovvero quando abbia comunque diversamente acquisito gli elementi di cui al comma 1 ovvero in ordine alla sussistenza di forme di condizionamento degli organi amministrativi ed elettivi, il prefetto, sentito il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica integrato con la partecipazione del procuratore della Repubblica competente per territorio, invia al Ministro dell'interno una relazione nella quale si dà conto della eventuale sussistenza degli elementi di cui al comma 1 anche con riferimento al segretario comunale o provinciale, al direttore generale, ai dirigenti e ai dipendenti dell'ente locale. Nella relazione sono, altresì, indicati gli appalti, i contratti e i servizi interessati dai fenomeni di compromissione o interferenza con la criminalità organizzata o comunque connotati da condizionamenti o da una condotta antigiuridica. Nei casi in cui per i fatti oggetto degli accertamenti di cui al presente articolo o per eventi connessi sia pendente procedimento penale, il prefetto può richiedere preventivamente informazioni al procuratore della Repubblica competente, il quale, in deroga all'articolo 329 del codice di procedura penale, comunica tutte le informazioni che non ritiene debbano rimanere segrete per le esigenze del procedimento.

[2] Con l'andar del tempo ci si accorse che questo strumento di lotta alla delinquenza organizzata si mostrava quanto meno di dubbia utilità e che per di più penalizzava e rendeva difficile la vita dei cittadini e delle imprese.

[3] Per un commento alla disciplina introdotta dal d. lgs n. 490/1994 si rinvia a A. Graziano, Appalti pubblici: il nuovo regime delle certificazioni "antimafia" dopo il D.L.vo 8 agosto 1994, n. 490, in Rivista trimestrale degli appalti, III, 1996, 465. I. Del Castillo, Esclusione dalla partecipazione alle gare, in Del Castillo, Galtieri, Realfonzo, Appalti pubblici di servizi, Milano, 1997, 168.

[4] G. Pascone, Ma i controlli successivi allungano i tempi, in Edilizia e Territorio, 10, 1996, 45; G. Zgagliardich, Guida per orientarsi nel labirinto della vecchia e nuova certificazione, in Edilizia e Territorio, 1998, 32/33, 8.

[5] Tale sistema prende il nome di SI. CE. ANT. è stato realizzato nell'ambito del Progetto Antimafia-SIDAPI, si inquadra nel complesso sistema di interventi denominato "Progetto Governance", avviato a partire dal 2001 dal Dipartimento della Funzione Pubblica (e affidato al Formez quale soggetto attuatore), per accompagnare il processo di ammodernamento delle Amministrazioni Pubbliche alla luce del nuovo quadro costituzionale. Il SI. CE. ANT. permetterà, d'ora in poi, il rilascio on line, direttamente alle Stazioni Appaltanti, delle certificazioni di nulla osta-antimafia relative alle imprese che partecipano agli appalti pubblici. Sarà inoltre possibile erogare le medesime certificazioni antimafia, indispensabili per l'autorizzazione all'esercizio di attività professionali e/o per la concessione di licenze per il commercio, direttamente alle Amministrazioni richiedenti, liberando cittadini ed imprese dall'onere della richiesta alle Prefetture territorialmente competenti.

La connessione al sistema SI. CE. ANT., già in sperimentazione presso le Prefetture di Roma, Napoli e Catania, avverrà attraverso l'accreditamento delle stazioni appaltanti cui, a fini di sicurezza, verranno rilasciati appositi kit digitali di identificazione. Il sistema, inoltre, permetterà la gestione automatizzata delle istruttorie da parte delle Prefetture territorialmente competenti, con conseguente riduzione dei tempi di attesa e di completamento delle procedure di appalto.

[6] La dicitura è la seguente:“Nulla osta ai fini dell'articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni. La presente certificazione è emessa dalla C.C.I.A.A. utilizzando il collegamento telematico con il sistema informativo utilizzato dalla prefettura di Roma”.

[7] Per importi che vanno da 154.937,00 euro a 5.000.000,00 di euro (al netto d'IVA) è sufficiente il certificato rilasciato dal Registro delle imprese tenuto dalla Camera di Commercio con la dicitura “antimafia”.

[8] L’acquisizione dell’informativa antimafia prevista dall’art. 10 D.P.R. n. 252/1998 non è legata esclusivamente al valore degli appalti di rilevanza comunitaria ma anche, indipendentemente dal valore dell’opera, al divieto posto dal legislatore alla P. A. di contrarre con i soggetti destinatari di informativa negativa. Di conseguenza le Stazioni Appaltanti possono legittimamente richiedere l’informativa anche in relazione ad appalti di valore inferiore alla soglia comunitaria. Cons. Stato,  sez. v , 19 settembre 2008, n. 4533 in www.neldiritto.it.

[9] Tar Calabria,  Catanzaro, 12 febbraio 2007, n. 38 in www.neldiritto.it

[10] Il certificato camerale munito dell’apposita dicitura antimafia (al pari delle comunicazioni prefettizie alle quali è assimilato per legge) è idoneo a garantire l’insussistenza delle sole situazioni ostative contemplate dall’art. 10 della Legge n. 575/1965, ma giammai può estendere la sua efficacia fino ad assicurare l’inesistenza di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa, accertati mediante ulteriori indagini istruttorie, il cui esito è riportato nell’informativa prefettizia. Tar Calabria, Catanzaro, 12 febbraio 2007, n. 38, in www.neldiritto.it

[11] L'Allegato 5 del Decreto Legislativo n. 490/94 ha stabilito inoltre che la normativa antimafia deve essere applicata nei confronti sia delle persone fisiche che giuridiche. Quando si tratta di associazioni, imprese, società e consorzi, la documentazione circa la sussistenza di una delle cause di decadenza, di divieto o di sospensione, deve riferirsi, oltre che all'interessato, anche alle società.

[12] Per lavori di importi superiori a 5.000.000,00 di euro sarà richiesta la “informazione” rilasciata dalla Prefettura competente per territorio. Per la fornitura di beni e servizi per importi che vanno da 154.937,00 euro a 200.000,00 euro (al netto d'IVA) è richiesto il certificato del Registro delle imprese tenuto dalla Camera di Commercio mentre per importi superiori, è richiesta la “comunicazione” rilasciata dalla Prefettura. Potrà essere presentata l’autocertificazione solo nei casi di: lavori o forniture dichiarati urgenti, rinnovi di contratti,

denunce di inizio attività (art. 19, L. n. 241/1990) e attività sottoposte alla disciplina del silenzio-assenso (art. 20, L. n. 241/1990), iscrizioni al Registro Cooperative. Per importi superiori a 200.000,00 euro è richiesta la “informazione” della Prefettura. Per quanto concerne contributi, finanziamenti, erogazioni, subappalti e cottimi per importi che vanno oltre 154.937,00 euro è richiesta la “informazione” della Prefettura.

[13] Restano escluse dagli obblighi del D. Lgs. n. 490/94, salvo espressa menzione (licenze di polizia, licenze di commercio, ecc.), tutte quelle determinazioni amministrative che solo indirettamente sono suscettibili di produrre effetti sulla attività imprenditoriale (quali, ad esempio, i nulla-osta, le licenze e simili aventi contenuto tecnico, ecc.). Devono, altresì, ritenersi esclusi: i titoli abilitativi o autorizzatori richiesti per l'esercizio di un lavoro svolto senza i caratteri organizzativi propri dell'impresa o di un lavoro dipendente, nonché quelli relativi al perseguimento di interessi patrimoniali estranei all'attività d'impresa; le erogazioni o altre agevolazioni economiche che non attengano allo svolgimento di attività imprenditoriali, ma a esigenze economico-sociali personali o al perseguimento di interessi patrimoniali non imprenditoriali i provvedimenti di rinnovo che si esauriscono in adempimenti periodici dell'interessato, anche se soggetti a un'attività meramente vidimatrice della Pubblica amministrazione (rinnovo di bollo, versamenti e simili). Il Ministero dell'interno, nella Circolare del 18 dicembre 1998, ha precisato che "eventuali richieste agli interessati di produrre la documentazione antimafia, anche quando la stessa non e' prescritta, potrebbe costituire un indebito aggravamento del procedimento, vietato a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241".

[14] Per le società di capitali anche consortili ai sensi dell'art. 2615-ter del codice civile, per le società cooperative, di consorzi cooperativi, per i consorzi di cui al Libro V, Titolo X, Capo II, Sezione II, del Codice Civile, la certificazione antimafia deve essere riferita ai seguenti soggetti al legale rappresentante; agli eventuali altri componenti l'organo di amministrazione, nonché a ciascuno dei consorziati che nei consorzi e nelle società consortili detenga una partecipazione superiore al 10%, ed ai soci o consorziati per conto dei quali le società consortili o i consorziati operino in modo esclusivo nei confronti della pubblica amministrazione. Per i consorzi di cui all'art. 2602 C.C., la certificazione antimafia deve essere riferita a colui che ne ha la rappresentanza e agli imprenditori o società consorziate. Per le società in nome collettivo, la certificazione antimafia deve essere riferita a tutti i soci. Per le società in accomandita semplice, la certificazione antimafia deve essere riferita ai soci accomandatari. Per le società estere, la certificazione antimafia deve essere riferita a coloro che le rappresentano stabilmente nel territorio dello Stato. Per le associazioni dotate di personalità giuridica (della quale deve essere fatta esplicita menzione), la certificazione antimafia deve essere riferita al legale rappresentante; mentre per le associazioni prive di personalità giuridica, la certificazione antimafia deve essere riferita a tutti gli associati. Sono esclusi dal regime della "comunicazione" e delle "attestazioni" rilasciate dalla Camera di Commercio:a) i conviventi, in quanto l'estensione delle interdizioni a questi non discende più ex lege; essi sono pertanto considerati ex se come persone soggette a specifica causa di interdizione, b) gli organi della Pubblica amministrazione e gli Enti pubblici, ancorché economici, le aziende vigilate dallo Stato o da altro Ente pubblico, le imprese comunque controllate dallo Stato o da altro Ente pubblico.

[15] La norma - spiega il Ministero dell'interno nella Circolare del 18 dicembre 1998 - deve essere interpretata nel senso che "la documentazione in corso di validità è richiesta solo nel momento dell'aggiudicazione della gara o della stipula del contratto o della concessione, per cui per gli atti successivi non e' più necessario acquisirne una nuova, ancorché gli stessi siano effettuati o avviati in data successiva al periodo di validità di quella già in possesso".

E' consigliabile, pertanto, che la richiesta della documentazione antimafia venga richiesta o presentata solo poco prima del momento in cui è necessario acquisirla.

Si aggiunge, inoltre, che l'articolo 13 del regolamento, abrogando espressamente l'articolo 2 del D. Lgs. n. 490 del 1994, ha soppresso anche l'obbligo di rinnovo della documentazione antimafia "almeno ogni 18 mesi", già previsto, dal comma 2-quater del predetto articolo 2, per i contratti e gli altri rapporti di durata superiore al biennio.

Nel caso, dopo la richiesta della documentazione antimafia, si siano verificate delle variazioni sostanziali nell'assetto gestionale dell'impresa, il legale rappresentante o altro soggetto dallo stesso delegato deve darne comunicazione all'Amministrazione competente aggiornando la documentazione antimafia prescritta (certificazione camerale, informazioni prefettizie, ecc.).

[16] La circostanza che il certificato camerale rechi la dicitura antimafia, volta ad attestare l’inesistenza delle situazioni ostative di cui all’art. 10 della Legge n. 575/1965, non può assumere alcun rilievo per ritenere insussistente o contraddittoria la diversa ed autonoma situazione ostativa costituita dall’esistenza dei tentativi di infiltrazione mafiosa, riportata nell’apposita informativa prefettizia. Tar Calabria, Catanzaro, 12 febbraio 2007, n. 38, in www.neldiritto.it

[17] Consiglio  Stato, sez. VI, 16 aprile 2003, n. 1979: ai sensi dell’art. 4, commi 5 e 6, del D. Lgs. 8 agosto 1994, n. 490 e dell’art. 11 del D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252, le pubbliche amministrazioni possono stipulare i contratti anche prima del ricevimento delle informative prefettizie antimafia non solo nel caso di somma urgenza, ma anche in caso di mero ritardo del Prefetto nella trasmissione delle informazioni; le medesime amministrazioni, inoltre, hanno la possibilità di recedere dai contratti stessi nel caso di sopravvenienza di informative interdittive, non solo nelle due ipotesi suddette, ma anche quando i fatti interdittivi emergano solo dopo la stipula del contratto. In particolare, la revoca degli appalti e subappalti già stipulati è consentita anche allorchè la certificazione antimafia sia stata rilasciata per contratti già stipulati.

[18] Secondo quanto disposto dall’art. 6, comma 3, del D.P.R. n. 252/1998, “le richiesta delle certificazioni devono essere presentate alla Camera di Commercio dalla persona interessata o da persona dalla stessa delegata a norma dell’art. 3, comma 2". Al comma 2 dell’art. 3, richiamato, si stabilisce che “La richiesta da parte dei soggetti privati interessati, corredata della documentazione di cui all'articolo 10, comma 3, ancorché priva della dicitura di cui all'articolo 9, ovvero della documentazione di cui all'articolo 10, comma 4, è ammessa previa informativa all'amministrazione procedente e può essere effettuata da persona delegata. La delega può indicare anche la persona incaricata del ritiro ed è sempre effettuata con atto recante sottoscrizione autenticata. La delega deve essere esibita, unitamente ad un documento di identificazione, sia all'atto della richiesta, che all'atto del ritiro. Nel caso di ritiro a mezzo di persona delegata, la comunicazione è rilasciata in busta chiusa a nome del richiedente”. Ci si è chiesti se l’atto di delega dovesse avere comunque la forma dell’atto autenticato o se l’autenticazione potesse avvenire secondo le modalità previste dall’art. 38, comma 3, del D.P.R. n. 445/2000 1. Al quesito ha recentemente risposto il Ministero dello Sviluppo Economico, con la lettera circolare del 15 febbraio 2008, Prot. 0001337, il quale fa preliminarmente osservare che le disposizioni riguardanti la forma degli atti diretti alla pubblica amministrazione riportate dal D.P.R. n. 252/1998, il linea generale sono da considerarsi superati dai successivi interventi normativi recati dal D.P.R. 28 dicembre 2000. n. 445 e dal D. Lgs. 7 marzo 2005, n. 82. Dal combinato disposto degli artt. 21 e 38, commi 1 e 3 del D.P.R. n. 445/2000 nonchè dell’art. 65 D. Lgs. n. 82/2005, si desume che in base delle disposizioni oggi vigenti, le istanze e le dichiarazioni possono essere presentate direttamente alla pubblica amministrazione con sottoscrizione autografa apposta in presenza del dipendente addetto al procedimento o trasmesse con mezzi telematici che garantiscano l’autenticità dell’istante. Tuttavia, secondo il parere della scrivente ed anche in adesione a quanto concluso sull’argomento dal Dipartimento della Funzione Pubblica, poiché la delega è un atto con il quale un soggetto conferisce ad un’altra persona la capacità di agire in sua vece, la delega stessa non rientra tra le dichiarazioni rivolte alla pubblica amministrazione di cui all’art. 21 del D.P.R. n. 445/2000 da autenticarsi secondo le modalità previste dall’art. 38, commi 1 e 3 dello stesso Decreto. Conseguentemente, anche in relazione al fatto che le informative antimafia contengono informazioni di carattere strettamente personale, Il Ministero, a conclusione della lettera-circolare in questione, ritiene che la delega alla richiesta ed al ritiro dei certificati del Registro delle imprese con l’apposizione della dicitura antimafia debba tuttora avere la forma prevista dall’art. 3 comma 2, del D.P.R. n. 252/98, e cioè con atto recante la sottoscrizione autenticata.

[19] Per tutti coloro (persone fisiche e società) che sono iscritti nel Registro delle imprese tenuto dalla Camera di Commercio, l'accertamento dell'inesistenza delle cause di divieto o di sospensione di cui all'allegato 1 del D. Lgs. n. 490/94 dovrà essere effettuato presso la Camera di Commercio della Provincia nella cui circoscrizione è stabilita la sede dell'impresa interessata tramite un collegamento telematico in tempo reale con la Prefettura di Roma. Le risultanti dell'accertamento risulteranno in calce al certificato rilasciato dal Registro delle imprese, con la seguente dicitura "Nulla osta ai fini della legge 31 maggio 1965, n. 575 e successive modificazioni nonché al decreto legislativo 8 agosto 1994, n. 490. La presente certificazione e' emessa dalla Camera di Commercio utilizzando il collegamento telematico previsto dall'art. 2-bis del predetto decreto legislativo n. 490 del 1994 e del relativo regolamento di attuazione e sulla base delle comunicazioni inoltrate in via telematica dalla prefettura di Roma". Tali certificazioni o attestazioni sono equiparate, a tutti gli effetti, alle comunicazioni o segnalazioni delle Prefetture che attestano l'insussistenza delle cause di divieto o di sospensione di cui all'articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575 (art. 6, comma 1, D.P.R. n. 252/1998).

[20] Corte Costituzionale, sentenza n. 27 del 1959 cit.

[21] Le misure di prevenzione personali (rimpatrio con foglio di via obbligatorio, sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, divieto od obbligo di soggiorno) sono disciplinate dalla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, che ne prevede l’applicazione nei confronti dei seguenti soggetti: coloro che debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono abitualmente dediti a traffici delittuosi; coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose; coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica (art. 1).

[22] La direzione distrettuale antimafia, competente a svolgere le indagini preliminari antimafia e dunque in possesso di un notevolissimo patrimonio informativo, non era fino ad oggi competente ad avviare contestualmente anche le indagini patrimoniali finalizzate alle misure di prevenzione del sequestro e della confisca ai sensi della legge 575/1965.

[23] Relazione della Commissione Parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa  Senato – Camera, XIV Legislatura, doc. XXIII, n. 16.

[24] In particolare la relazione di accompagnamento afferma : L'indissolubile relazione che la norma fissa tra la pericolosità del soggetto e la possibilità di sottoporre a confisca i patrimoni nella sua disponibilità espone, dunque, i provvedimenti ablatori dei patrimoni alle sorti dei provvedimenti giudiziari concernenti la pericolosità sociale del soggetto stesso. Appare, pertanto opportuno procedere a modifiche normative nel senso della separazione tra le misure di prevenzione personali e le misure patrimoniali, al fine di prevenire che provvedimenti modificativi della misura di prevenzione concernente il soggetto travolgano le misure patrimoniali disposte sui beni di cui è stata accertata la provenienza illecita e che in ragione di tale accertata illecita provenienza sono dotati di una perdurante pericolosità e di un insito potere destabilizzante per l'economia lecita. Questo renderebbe possibile, innanzitutto, che, in caso di morte del proposto, il procedimento di prevenzione patrimoniale continui nei confronti degli eredi quali beneficiari di un illecito arricchimento. In sintesi, si immagina una sorta di "perdurante illiceità dei beni" strettamente connessa alla formazione degli stessi".

[25] V. il riferimento alla nota n. 1.

[26] Come noto, infatti, allo stato attuale, le SOA sono società per azioni di diritto speciale, di natura privatistica, ma svolgono una funzione pubblicistica di certificazione, che sfocia nel rilascio di una attestazione con valore di atto pubblico.

[27] Indicazioni integralmente condivise dalla VIII Commissione della Camera dei Deputati, che le ha accolte e fatte proprie nella seduta del 18 luglio 2007, esprimendosi favorevolmente in sede di parere sullo schema di decreto legislativo e ponendo tra le condizioni le valutazioni proposte dalla Commissione antimafia.

 

29 aprile 2010