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Globalizzazione e Stati-Nazione

ImageÈ opinione diffusa che il processo di globalizzazione rappresenti il fenomeno realmente rivoluzionario della nostra epoca, capace di mettere in crisi i tradizionali modelli descrittivi della realtà, gli assiomi euristici più collaudati, i sicuri strumenti di analisi della società. Ciò determina una progressiva incapacità delle istituzioni nazionali di razionalizzare e quindi gestire al meglio i rapporti sempre più imprevedibili e quindi incontrollabili tra l’individuo e la collettività e i cittadini e lo stato. Ciò rende conflittuale e spesso indecifrabile il rapporto tra “autorità” e “libertà” all’alba del primo secolo di questo nuovo millennio.
Partendo da queste riflessioni si intende sostenere una tesi diversa da quella appena citata, e come detto largamente condivisa.

Ad avviso dello scrivente la globalizzazione costituisce l’evoluzione in chiave contemporanea di linee evolutive storico politiche già presenti nel secolo breve appena conclusosi. Sostenendo tale assunto si elimina al fenomeno globalizzazione, che è insieme economico e socio politico, il suo carattere rivoluzionario e di rottura dei canoni interpretativi classici così come ereditati dal ‘900. Ciò ha l’indubbio vantaggio di rendere possibile l’uso di tali strumenti interpretativi forse troppo precipitosamente archiviati dagli analisti, quasi per il gusto di sentirsi improvvisamente immersi in un’epoca nuova, senza più barriere fisiche ed economiche in cui è necessario inventarsi una nuova chiave epistemologica dei fenomeni del nuovo millennio, giudicando aprioristicamente anacronistici quelli passati.

Se, come si sostiene in queste brevi riflessioni, la globalizzazione non configura l’evento scatenante il lento, ma inesorabile processo di rottura e disgregazione del modello di stato nazione stratificatosi nel corso degli ultimi secoli, modello basato sull’idea di “kelseniana” memoria della “FORZA”, e cioè della capacità di imporre coattivamente la volontà statuale all’interno e all’esterno dei propri confini, allora la complessità della società in cui viviamo, e che con sempre maggiore difficoltà riusciamo a comprendere, va spiegata in maniera diversa. Ma di certo non attribuendo semplicisticamente al processo di globalizzazione la crescente complessità del mondo contemporaneo, anche perché è noto che tale processo ha confini per definizione piuttosto indefiniti e indefinibili.

Infatti se la globalizzazione è rappresentabile solo come il risultato della compressione della dimensione spazio temporale generata dalle nuove tecnologie di comunicazione e di trasporto che mediante la rete internet e i servizi integrati su scala mondiale, riescono a trasformare il cittadino di una singola nazione nel nuovo “uomo globalizzato”; allora la globalizzazione in tale accezione finisce per avere una valenza solo economico-patrimoniale. Tale processo consente infatti solo ad alcuni cittadini (quelli che hanno accesso alla rete internet, dispongono delle competenze informatiche per usarla in maniera coerente ai propri bisogni, e soprattutto detengono le risorse finanziarie sufficienti per comprare tutto ciò di cui si hanno bisogno per interagire in maniera soddisfacente con un mondo globalizzato in rapidissimo e continuo mutamento) di essere attori consapevoli del nuovo millennio. Tutti gli altri soggetti, e sono inevitabilmente la stragrande maggioranza composta dai più poveri di reddito e quindi di competenze, sono destinati a essere non soggetti o al più soggetti passivi, ma non attori consapevoli del villaggio globale, potendo solo ammirare i luccicanti bagliori del consumismo mediatico, come bambini poveri fuori una bella vetrina di natale che non possono interagire e nemmeno comprendere le dinamiche di un mondo globalizzato e, per questo, fin troppo complesso.


Intesa esclusivamente in tali termini la globalizzazione finisce per rappresentare solo un fenomeno di mera evoluzione del sistema capitalistico, quasi il trionfo del modello socio-economico occidentale che pone al centro del macrocosmo sociale ed economico il singolo individuo che in quanto capace di produrre reddito, e nei limiti in cui ne può disporre, è in grado di interagire con il mondo globalizzato e condizionarne alcuni fattori e da molti altri esserne condizionato. E’ accertato, infatti, che il mondo contemporaneo impone modelli comportamentali di consumo ed interazione interpersonale spesso preconfezionati e immodificabili, che determinano una buona dose di conformismo, al quale il fruitore della rete e dei servizi integrati in essa promossi non può in nessun modo sfuggire.


L’ultima osservazione proposta introduce l’altro aspetto determinante in tema di globalizzazione: gli strumenti offerti dalle moderne tecnologie non sono mai pienamente controllabili dagli utenti. A ben vedere sono gli stessi strumenti tecnologici usati a perdere la loro valenza strumentale e a condizionare in maniera sempre più crescente le scelte di vita, i comportamenti e il modo di rappresentare se stessi in una realtà che è ormai virtuale e reale insieme. Il cittadino di questo moderno mondo virtuale globalizzato si trova quindi ad operare e a fare scelte di acquisto, vendita, di preferenza politica, culturale e religiosa in un universo dematerializzato, quale è quello mediatico proposto dalla rete internet, mai del tutto compreso e in verità ontologicamente non del tutto comprensibile, e ancor meno controllabile. Image

A ben vedere è questo carattere quasi misterioso a rendere il mondo virtuale ancora più affascinante e coinvolgente per gli utenti. La criticità evidente di tale sistema sta nella sua stessa arma seduttiva, e cioè l’assoluta incontrollabilità del sistema nel suo complesso, e quindi la mancanza di tutela dell’utente in esso. Con un buon grado di approssimazione può sostenersi che il mondo della rete è un “luogo di naturale insicurezza” in quanto privo di qualsivoglia diritto di cittadinanza idoneo a tutelare coloro che vi operano. Un luogo quindi ove non si è cittadini ma solo utenti lasciati alla mercè della legge del mercato. E’ per questo che le legislazioni nazionali stanno tentando, in evidente ritardo, di disciplinare giuridicamente il mondo della rete, per ora con scarsi risultati perché operano in un’ottica solo nazionale per regolamentare un fenomeno che è per definizione a carattere mondiale.

Da queste brevi riflessioni potrebbe apparire implicito un giudizio negativo sulla globalizzazione e il mondo della rete che ne costituisce strumento e emblema caratteristico. Non è così. La globalizzazione è il più straordinario fenomeno di propagazione di informazioni, di modelli comportamentali e sociali, di idee e ideologie, di persone, beni e servizi. Tale fenomeno non elimina i confini tra gli stati, né contamina automaticamente i modelli socio economici nazionali mediante l’immigrazione di popolazioni più povere in paesi più ricchi, o l’apertura dei mercati in zone del mondo prima chiuse a rapporti con l’estero. Non può ritenersi che la globalizzazione proponga una sorta di terza via superando il modello capitalistico o quello socialista. Più semplicemente questo fenomeno rende il mondo più complesso da analizzare, rappresentare e quindi gestire perché impone il governo della convivenza multiculturale, multietnica e multireligiosa in stati nazione che intendono restare tali e cercano soluzioni di integrazione degli stranieri nel loro sistema. L’ottica è quindi dell’accoglienza dello straniero, ma al fine della integrazione dello stesso nel modello nazionale preesistente, perchè ciò che si intende evitare è proprio la trasformazione dello stesso modello di stato nazione formatosi per mezzo di stratificazione socio- politica in molti secoli di storia. D'altronde è innegabile che gli stati in cui viviamo non possono cambiare repentinamente e se ciò dovesse avvenire non dovremmo di certo augurarcelo, perché accadrebbe solo al costo di violenti e forse ingestibili conflitti sociali.

La politica non possiede per ora gli strumenti necessari per governare la globalizzazione perché è ancora la politica dei singoli stati nazione, e la politica degli enti sopranazionali è ancora la sommatoria, e non la sintesi proficua, delle singole politiche nazionali. Purtroppo i tempi non sono ancora maturi perchè alla globalizzazione dei mercati si accompagni anche la globalizzazione della politica dei governi nazionali. Solo quando ciò avverrà si assisterà alla globalizzazione dei diritti sociali e civili, con la tutela della cittadinanza umana in ogni parte del globo e con uguale intensità di tutela. Per ora dobbiamo accontentarci della globalizzazione dei grandi capitali e della tutela degli interessi particolari dei governi più forti.

 

30 dicembre 2007