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L'appellativo di "Eccellenza"

 
L’eccellenza è la qualità di colui che si innalza sugli altri per pregi, qualità e dignità nel suo campo di azione o di servizio [1]. Anticamente tale titolo, utilizzato con l’iniziale maiuscola, era dato ad imperatori, re, pontefici, per essere poi esteso ad alti funzionari, nobili, vescovi ed alti prelati [2].

Ai sensi dell’articolo 4 del r.d. 16 dicembre 1927, n. 2210 si riconosceva il titolo di “Eccellenza” alle alte cariche dello Stato, comprese nelle prime quattro categorie dell’epoca. Tale appellativo competeva alle massime autorità dello Stato fino ai magistrati, ai funzionari ed ufficiali con grado odierno di presidente di sezione della Corte di cassazione, di dirigente generale o prima fascia superiore, di tenente generale e incarichi corrispondenti.
 
Il decreto luogotenenziale 28 giugno 1945, n. 406 abolì l’appellativo che pertanto non può oggi essere usato negli atti formali aventi ad oggetto autorità italiane.

Non è tuttavia vietato l’uso di cortesia nell’ambito dei rapporti personali verbali e nella corrispondenza a carattere privato [3], secondo una consuetudine ancora sentita. In ambito internazionale l’appellativo è tuttora rivolto validamente ad autorità di governo ed ambasciatori stranieri e nel mondo ecclesiastico ai vescovi. Al di là degli aspetti normativi e di cerimoniale la nostra riflessione si sposta sull’uso consuetudinario diffuso di rivolgersi anche e da sempre ai prefetti con tale appellativo. L’orientamento dubbioso di alcuni circa la possibilità di utilizzo di tale titolo onorifico nei confronti dei prefetti sulla base del solo dato normativo non fa però i conti con quello che è l’uso consuetudinario diffuso dell’appellativo stesso. In proposito c’è da chiedersi quale sia oggi il senso di tale uso ed in particolare quale possa essere il “contenuto” con cui “riempire” tale appellativo.

Illuminanti in tal proposito sono le parole del Prefetto Carlo Mosca che in un recente suo scritto [4] si interroga sul fatto se tale titolo, utilizzato nei confronti dei prefetti, corrisponda ad un sentire comune della gente e quale sia l’obbligazione che ne deriva dall’uso a livello di etica professionale e di coscienza.

Secondo l’autore il sentirsi conferire tale titolo significa avvertire non solo la responsabilità, ma anche il dovere di essere eccellenti e di vivere tale stato di eccellenza al servizio della causa comune. In tale senso l’appellativo non assume il significato elitario di chi si distingue al fine di dominare o comandare gli altri, ma “deve assumere il significato di chi esprime una preminenza di valori, di doti e di capacità intellettuali, morali, professionali e umane da mettere al servizio dell’interesse generale”[5].

In conclusione il titolo di eccellenza bisogna meritarselo e ciò sarà possibile solo orientando all’eccellenza il proprio operato e quindi assumendo di conseguenza una serie di atteggiamenti: svolgendo la propria professione in maniera eccellente, esprimendo uno stile di vita eccellente, tenendo inoltre comportamenti e producendo risultati eccellenti, relazionandosi eccellentemente con gli altri attori istituzionali e sociali. Ed è in questo senso che bisogna intendere il senso più genuino delle élite dirigenziali delle pubbliche amministrazioni: dietro il titolo di eccellenza bisogna vedere “massimo impegno, totale servizio, elevato senso dello Stato e del bene comune” [6]. Ecco allora quale può essere il senso più attuale di tale appellativo.

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[1] Etimologicamente il verbo “eccellere” deriva dal latino “excèllere”, composto di ex- “fuori,da” e *cèllere [gr. KÈLLEIN] “avanzare, muovere” con il significato di essere superiore, emergere, primeggiare.

[2] Per un certo periodo fu in uso anche il superlativo “eccellentissimo” titolo riconosciuto in epoca remota ai primi re di Francia e Italia.

[3] M. SGRELLI, Il cerimoniale – il cerimoniale moderno e il protocollo di Stato. Regole scritte e non scritte. Master Edizioni, Roma, 2006, p. 201 e ss. Nelle lettere formali l’appellativo di “eccellenza” tuttavia non è utilizzato nel vocativo d’appello, ma soltanto nel testo. Nelle lettere confidenziali può essere utilizzato nel vocativo.

[4] C. MOSCA, Frammenti di identità ed etica prefettorale, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2006, p. 101 e ss.

[5] C. MOSCA, op. cit., pag. 102.

[6] C. MOSCA, op. cit., pag. 103.
 

2 novembre 2007