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Le politiche dell’immigrazione nell’Unione europea tra comunitarizzazione degli accordi di Schengen e processo costituente


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La politica migratoria europea è da sempre caratterizzata da un’ispirazione di fondo di estrema chiusura. La gestione degli ingressi degli stranieri finora ha mirato sostanzialmente a realizzare una “immigrazione zero” e ciò ha indotto numerosi ed autorevoli commentatori a criticare, anche aspramente, la strategia della “fortezza Europa”.

Il fenomeno dell’immigrazione dai Paesi terzi inizia ad essereavvertito nella Comunità europea durante gli anni ’70, essendo glispostamenti dei lavoratori avvenuti fino a quel momento essenzialmentenell’ambito degli Stati membri. Questi ultimi manifestarono da subitola volontà di conservare ampie prerogative nella disciplina dellamateria, in quanto ne risultava direttamente investita la sovranitàterritoriale di ciascuno di essi. Il ruolo della Comunità era cosìlimitato da un lato a perseguire l’integrazione del lavoratoreextracomunitario, soprattutto sul piano economico, garantendo untrattamento analogo a quello del cittadino; dall’altro, a contrastarel’immigrazione clandestina. Si trattava, in definitiva, di unadisciplina funzionale all’obiettivo istituzionale della Comunità ovverol’instaurazione del mercato comune europeo.
    La svolta si ebbe ametà degli anni ’80 con la stipula degli accordi di Schengen, cui hafatto seguito la Convenzione di applicazione del 1990. Si trattava diuna forma di cooperazione rafforzata tra un gruppo di Stati membri –inizialmente cinque, poi a mano a mano aderiranno quasi tutti – per larealizzazione di uno spazio senza frontiere, che avrebbe consentito lalibera circolazione delle persone. Il tratto saliente del sistemaSchengen è, infatti, l’abolizione dei controlli alle frontiere interne,che si realizza grazie all’affidamento di ciascuna parte contraenterispetto ai controlli effettuati dalle altre parti alle frontiereesterne. Veniva inoltre introdotto il visto d’ingresso uniforme, checonsente il soggiorno e la circolazione per periodi non superiori aitre mesi.
  Con la creazione dell’Unione europea, avvenuta con ilTrattato di Maastricht, le norme sull’attraversamento delle frontiereesterne degli Stati membri e la politica d’immigrazione rientravano nelc.d. terzo pilastro. Successivamente, con il Trattato di Amsterdam, siè avuta la “comunitarizzazione” della materia, ossia il passaggio dalterzo al primo pilastro, quello rappresentato dalla Comunità. Inoltre,al medesimo Trattato di Amsterdam è stato allegato un Protocollosull’integrazione dell’acquis di Schengen nell’ambito dell’Unioneeuropea, superando così il principale limite della disciplina delineataa Maastricht. Lo stesso Protocollo ha peraltro stabilito che lacooperazione rafforzata ivi prevista si realizzi nel rispetto delTrattato sull’Unione europea e del Trattato che istituisce la Comunitàeuropea, nonché nel quadro giuridico ed istituzionale dell’Unioneeuropea.
    A tal proposito, non sono mancati conflitti tra taluniaspetti del sistema Schengen e norme di diritto comunitario attuativedei trattati. In particolare, la Corte di giustizia ha avuto modo dipronunciarsi su uno dei punti cardine del sistema ovvero lasegnalazione ai fini della non ammissione. Lo stranieroextracomunitario che venga segnalato al SIS (Sistema di informazioneSchengen) per uno dei motivi previsti dalla Convenzione di applicazionenon può, di regola, essere ammesso nel territorio di uno Statocontraente. Tuttavia la Corte ha stabilito che tale preclusione nonopera automaticamente qualora il soggetto sia un familiare di uncittadino dell’Unione e tale qualità garantisca l’ingresso. Da qui ilprincipio generale secondo il quale tra l’acquis di Schengen ed ildiritto comunitario prevale quest’ultimo.
    La presenza di legamidi tipo familiare costituisce uno dei fattori maggiormentecondizionanti l’attuazione delle norme sull’immigrazione, incidendo siasul momento dell’ammissione che su quello dell’allontanamento, ove ilsoggiorno sia o sia divenuto irregolare. Ciò è reso possibile, oltreche dalla giurisprudenza della Corte sul punto, da un’appositadirettiva sul ricongiungimento familiare (2003/86), cui ha fattoseguito un’altra sullo status dei cittadini di Stati terzi soggiornantidi lungo periodo.
    In definitiva, la competenza dell’Unioneeuropea in materia di immigrazione al momento continua ad atteggiarsicome una competenza concorrente, in quanto destinata a convivere conquella dei singoli Stati membri. Anche il progetto di Trattatoistitutivo di una Costituzione per l’Europa, del quale si è in attesadi conoscere il destino, non sembrerebbe modificare sostanzialmente ilquadro. Proprio la ritrosia degli Stati a cedere terreno al legislatorecomunitario, unitamente alla farraginosità di procedure ancora legateal voto all’unanimità, pare essere il principale ostacoloall’affermarsi di una compiuta ed efficiente politica comunedell’immigrazione nell’Unione europea.

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2 ottobre 2007