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La sicurezza urbana in primo piano: l'attenzione sul fenomeno dei lavavetri molesti non deve...

La sicurezza urbana in primo piano: l’attenzione sul fenomeno dei lavavetri molesti non deve allontanare i riflettori dai  Protocolli d’Intesa stipulati tra prefetture ed Enti locali nelle grandi realtà urbane del nostro Paese

 
 

Le indagini demoscopiche sono pressoché concordi  nell’indicare nella sicurezza il bene che i cittadini italiani vogliono tutelare (o conquistare) con maggior determinazione ed al quale ricollegare principalmente la qualità della vita. Come tale, ogni piccola o solo potenziale variazione a questo macrocosmo non può non scatenare decise reazioni, accesi dibattiti e prese diposizione particolarmente significative, se assunte in ambito istituzionale. A questo c’è da aggiungere che il pianeta sicurezza, in particolare se riferito al contesto urbano, si caratterizza per una dimensione estremamente dinamica oltre che variegata, tanto che quello che risulta essere un problema di sicurezza cittadina in una determinata realtà  può assumere  talvolta connotati quasi insignificanti o molto più attenuati in altri ambiti territoriali  (Cfr. A. Bordi “Il concetto di sicurezza ha cento aspetti diversi” in Amministrazione Civile - febbraio 2004).

Da queste due premesse lapalissiane scaturisce un sillogismo di tutta evidenza per il quale la fenomenologia della sicurezza necessita di un continuo monitoraggio da parte degli “specialisti della materia”, siano questi i rappresentanti delle forze dell’ordine, delle istituzioni costituzionalmente equiordinate, oppure i sociologi, gli psicopatologi e gli altri studiosi dei comportamenti e  delle devianze con riflessi sull’ordinato vivere di una comunità. Anche le reazioni, le doglianze dei cittadini vanno prese nella debita, anzi nella massima, considerazione, ma i temi sulla sicurezza, sempre delicati e complessi, vanno analizzati e gestiti dagli “addetti ai lavori”. Sono questi che, grazie alle conoscenze specifiche e ad una professionalità acquisite nel tempo, sono in grado di valutare ogni elemento che incida sulla sicurezza reale o percepita dei cittadini, rapportandolo anche a situazioni in divenire ed individuando le soluzioni più appropriate, che tengano conto del quadro sociale ed ordinamentale di riferimento, senza intraprendere voli pindarici o interventi traumatici di primo impulso, che poi possono risultare inefficaci o inutili, o peggio, dannosi in quanto  lesivi di equilibri sociali fin lì positivamente realizzati.
 
 

Perché oggi ci troviamo tutti a dissertare sul tema della sicurezza urbana, riferito in particolar modo alle grandi realtà cittadine del nostro Paese? L’attualità delle tante questioni trova un effettivo fondamento nella rilevata insofferenza di gran parte della cittadinanza a situazioni nuove, quanto meno nella misura, che stanno stravolgendo il tessuto sociale dei quartieri italiani. Si allude ai fenomeni di microcriminalità e di illegalità incrementati dall’ingresso nelle nostre città di un numero considerevole di stranieri che non rispettano le norme elementari di civile convivenza, portando ad un sensibile degrado dello stile di vita  della popolazione residente, nella quale vanno oramai compresi quegli stranieri regolarizzati e perfettamente integrati nel contesto socio economico italiano. Chiaro il riferimento ai lavavetri, spesso aggressivi (in particolare verso le donne sole in auto) ai venditori ambulanti incuranti di vendere capi di abbigliamento contraffatti, ai posteggiatori abusivi che pongono essere comportamenti estorsivi di bassa lega o alle giovani prostitute in strada che, in taluni casi, sono il terminale di una vera e propria aggressione al territorio, determinando una ferita tangibile (anche alle 10 del mattino) al livello di civiltà di un Paese ricco di storia e di cultura democratica.

 
 

Da qui il conseguente scendere in campo dei sindaci di molte città italiane, primo tra tutti quello di Firenze, Leonardo Domenici, da anni presidente dell’ANCI, l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani, decisi ad intervenire nel contesto del degrado urbano, proponendo sanzioni al variegato popolo di parcheggiatori abusivi, lavavetri molesti, prostitute minorenni, mendicanti, graffitari e venditori ambulanti lontani dalla minima condizione di legalità. Oltre a Firenze, ove il pacchetto sicurezza è stato portato avanti dall’ assessore Graziano Cioni, vanno ricordate le posizioni del sindaco di Bologna, Sergio Cofferati, ex leader CGIL, il quale ha chiesto che “nella lotta alla microcriminalità i sindaci e la polizia municipale devono poter esercitare funzioni di polizia giudiziaria, ovvero agire come poliziotti e carabinieri, arrestando gli scippatori e accompagnando i clandestini nei Centri di Permanenza Temporanea”. A ben vedere ci sono in ballo mutamenti rilevanti nell’assetto delle competenze in materia di sicurezza ed il parametro di riferimento resta il livello di vivibilità nel quotidiano di ogni cittadino, un valore che per la sua sacralità ed intangibilità, merita la massima attenzione, quella che altri comuni, altri primi cittadini hanno  giustamente attribuito a tale problematica; parliamo di Modena, città distintasi nella lotta al racket dei lavavetri (una vittoria ed una best practice che andrebbe esportata in altre città), parliamo di Ventimiglia, ove il sindaco ha istituito riconoscimenti a quanti denuncino gli imbrattamuri o forniscano informazioni per  bloccarne la dannosa attività (ci sono costi notevoli per le amministrazioni che procedono alla ripulitura di strade, edifici e stazioni deturpate); e come dimenticare il muro di via Anelli a Padova, eretto per circoscrivere quello che molti hanno definito il Bronx del Veneto ed infine il vice sindaco di Treviso Gentilini, osannato o criticato per la sua attività da “sceriffo”.

 
 

Affrontare il tema, o meglio i tanti temi della sicurezza dal basso, ossia dalla microcriminalità per risalire poi alle grandi organizzazioni malavitose non è certamente una novità dell’ultima ora; infatti già negli anni ottanta i criminologi James Wilson e Gorge Kelling, coniarono la teoria delle “broken windows”, delle finestre rotte, in base alla quale era facilmente prevedibile che se le persone di un quartiere si abituano a vedere finestre rotte, senza che nessuno le ripari o nessuno si preoccupi di sapere chi le ha rotte, scatta un pericoloso adattamento a quella specifica situazione di degrado. La conseguenza ipotizzabile è che si potranno rompere altre finestre e non reagire più al desolante panorama di abbandono connesso a tale fotografia di  degrado urbano. Insomma anche la “tolleranza zero” può essere un’opzione praticabile per taluni periodi o per taluni contesti di degrado senza via di ritorno, ma è necessario che il problema venga affrontato nella sua intierezza dalle istituzioni competenti, dalle forze dell’ordine, dalla magistratura e dal legislatore, ognuno per il proprio profilo.

 
 

Quindi no all’improvvisazione, no deciso al Far West, no alle soluzioni episodiche ed estemporanee; è urgente e necessario il contributo di tutti, anche e soprattutto dei cittadini, serve la professionalità di chi conosce il pianeta “sicurezza” ed in questo la figura del prefetto  offre una garanzia con duecento anni di storia, nel corso dei quali la sicurezza è stata gestita e tutelata a fronte di problematiche ben più impegnative di quelle, comunque degne di attenzione, correlate ai lavavetri molesti. Da ultimo non va trascurato che proprio il bimestre giugno luglio 2007 ha segnato un cambiamento epocale nella strategia contro la criminalità urbana; infatti presso tutte le prefetture delle grandi città italiane sono stati firmati ed avviati Protocolli d’Intesa sulla sicurezza integrata che vedono per la prima volta scendere in campo mezzi e uomini dello Stato e degli enti locali, ciascuno con le proprie specifiche competenze. E’ fondamentale che le amministrazioni comunali siano sempre in grado di affrontare il degrado urbano, svolgendo in tal modo una funzione preventiva preziosissima rispetto all’attività di controllo e di repressione spettante alle forze dell’ordine. In conclusione, per usare una metafora di stampo calcistico, c’è una squadra istituzionale che da sempre gioca partite importanti contro la criminalità, che studia e si allena  con grande impegno per migliorare la sicurezza civica, che vanta un palmares di successi (l’arresto di Provenzano, uno dei tanti). Oggi come domani, possono cambiare anche gli avversari, le competizioni ed i contesti di confronto ed allora vanno fatte nuove alleanze, rinforzati gli organismi operativi, innovate le strategie, messe a disposizioni nuove risorse, soprattutto tecnologiche, ma smantellare una squadra vincente in prossimità di grandi appuntamenti appare un rischio che nessuna comunità può permettersi, nemmeno la nostra.

 

19 settembre 2007