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Gli affidamenti in house nel quadro normativo comunitario e nel nuovo assetto normativo nazionale

1. Caratteri generali dell’istituto. 2. Requisiti di legittimità - la totale partecipazione pubblica al capitale sociale; il controllo analogo; prevalenza dell’attività di una società con l’ente pubblico che la detiene. 3. Conclusione.

 
1. CARATTERI GENERALI DELL’ISTITUTO.

L’ordinamento comunitario ammette, quale espressione dei poteri di auto-organizzazione delle pubbliche amministrazioni, la possibilità dell’affidamento diretto, cioè senza gara pubblica, a società, dotate di propria personalità giuridica, controllate dalla stessa pubblica amministrazione.

In sostanza, l’in house providing evidenzia un modello di organizzazione in cui la pubblica amministrazione provvede al perseguimento dell’interesse pubblico o all’acquisizione delle risorse ad essa necessarie mediante lo svolgimento di un’attività interna.

Gli affidamenti diretti, cosidetti in house, si possono intendere sia in senso stretto, che in senso lato.

Rientrano nei primi le procedure con cui una Pubblica amministrazione affida un servizio ad un suo ente strumentale non dotato di una distinta personalità giuridica; nei secondi rientrano, invece, le ipotesi di stipula di contratti con società, dotate di propria personalità giuridica, controllate dalla stessa Pubblica amministrazione stipulante.

Soffermandoci sull’ipotesi diaffidamento in house in senso lato,si evidenzia come, in assenza di un’espressa definizione normativa, è stata lagiurisprudenza comunitaria che, partendo dalla puntualizzazione dei concetti diappalto pubblico e di concessione di pubblico servizio, ha ricavato in negativoi confini dell’ in house providing.

In particolare, mentre nel casodella concessione di pubblico servizio il concessionario si sostituisceall’ente concedente nell’esercizio dei compiti propri di quest’ultimo,svolgendo un’attività che è destinata direttamente alla soddisfazione degliinteressi della collettività, nell’appalto pubblico, invece, l’appaltatore silimita ad eseguire la prestazione di lavori, servizi o forniture in favoredell’ente pubblico appaltante.

Il concessionario, quindi, a differenza dell’appaltatore, si surroga all’ente pubblico concedente nell’esercizio dell’attività spettante a quest’ultimo.

Caratteristica di tutte e due le fattispecie è che, tanto negli appalti pubblici, quanto nelle concessioni di pubblico servizio si riscontra un’estraneità del soggetto appaltatore, ovvero del concessionario, rispetto all’ente appaltante o concedente. Tale relazione intersoggettiva, che dunque è indispensabile per il configurarsi sia dell’appalto che della concessione, manca tutte le volte in cui non si rinviene una terzietà fra ente pubblico e gestore e, di conseguenza, non sussiste fra essi un vero e proprio rapporto contrattuale o concessorio.

È proprio la mancanza di una relazione intersoggettiva che elimina l’obbligo di indizione di una gara e comporta, insieme agli altri criteri indicati dalla Corte di Giustizia, il configurarsi di un affidamento in house. 

La società così formata realizza un’ipotesi di terzietà formale, ma non sostanziale: infatti, essa è terza perché dotata di personalità giuridica, ma lo è solo formalmente perché nella sostanza dipende integralmente dall’ente locale. Tale dipendenza si evince dai tre caratteri che individuano il modello “in house providing”:

a)             il capitale interamente pubblico della società

b)            il controllo analogo esercitato dall’ente locale

c)             lo svolgimento della parte più importante dell’attività della società nei confronti dell’ente o degli enti che la controllano.

Questi sono i tre requisiti fondamentali elaborati dalla giurisprudenza comunitaria atti a giustificare la sottrazione di un servizio all’ambito di operatività delle regole dell’evidenza pubblica (sentenza della Corte di giustizia Teckal del 1999, n. C- 107/98).

L’affidamento in house costituisce, in sostanza, un modello organizzativo, tramite il quale la Pubblica amministrazione si avvale di propri organismi che, pur appartenenti all’organizzazione amministrativa nel suo complesso, non costituiscono necessariamente un’articolazione interna della stessa.

Ai sensi di questo orientamento giurisprudenziale, si dovrebbe configurare “una sorta di amministrazione “indiretta”, nella quale la gestione del servizio resta saldamente nelle mani dell’ente concedente, attraverso un controllo assoluto sull’attività della società affidataria la quale, a sua volta, è istituzionalmente destinata in modo assorbente a operazioni in favore di questo” (TAR Campania, Sez. I, 30/3/2005 n. 2784).

In definitiva, alla società in house devono essere attribuite attività amministrative funzionalizzate alla cura di un interesse pubblico (art. 1, legge n. 241/1990).

A questo punto, però, l’esistenza di una pubblica funzione implica una valutazione normativa di rilevanza di un certo interesse, che viene tutelato attraverso l’attribuzione normativa di poteri. In materia, infatti, l’art. 97 della Costituzione ha stabilito che l’unica fonte istitutiva di competenze e potestà è la legge.

Quale applicazione della disposizione Costituzionale da ultimo citata, l’articolo 4, legge n. 70 del 1975, afferma che nessun nuovo soggetto pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge.

La indicata normativa esprime, quindi, il principio secondo cui spetta all’ordinamento generale individuare le soggettività che operano per realizzare una funzione di rilevanza pubblica.

In merito alla disciplina dell’istituto in argomento, si rileva che la direttiva 2004/18/CE non prevede l’istituto del rapporto in house. A ciò deve aggiungersi che nel corso dei lavori preparatori del d.lgs. n. 163/2006 (codice appalti) è stata eliminata una disposizione in materia di società in house nei settori ordinari.

Al momento, pertanto, per quanto riguarda il diritto interno, la figura dell’affidamento in house ha trovato un riconoscimento normativo con il d.l. n. 269/2003, convertito dalla legge n. 326/2003, il quale ha modificato l’articolo 113 del TUEL prevedendo il ricorso all’affidamento diretto, a livello locale, limitatamente in materia di servizi pubblici; nonché con l’articolo 13 del d.l. n. 223/2006, convertito dalla legge n. 248/2006, volto a disciplinare a livello regionale e locale l’affidamento diretto della produzione di beni e servizi strumentali e, nei casi consentiti dalla legge, di funzioni amministrative, sebbene le espressioni in house o affidamento interno non siano presenti.

L’art. 22 della legge n. 142 del 1990, poi, dà una ampia definizione dei “servizi pubblici locali”, specificando che sono quelli che hanno ad oggetto la “produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali”. Nella norma sono precisate le possibili forme di gestione di questi servizi, tra cui quella dell’affidamento diretto ad una “azienda speciale” (ente strumentale del Comune).

In particolare, la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto configurarsi “un pubblico servizio locale”, ogni qual volta l’Amministrazione comunale si propone di svolgere “compiti di miglioramento e di perfezionamento della società”.

Sul punto, la giurisprudenza della Corte di Giustizia ha, infatti, riconosciuto conformi al diritto comunitario gli affidamenti diretti in house di servizi, nei quali manca un vero e proprio rapporto contrattuale tra due soggetti e l’ente locale esercita “un potere di controllo e di ingerenza” sul soggetto che svolge il servizio affidato, analogamente a quanto avviene con i propri servizi.

Ciò che assume rilievo preminente è, pertanto, il rapporto instaurato tra l’Amministrazione aggiudicatrice e la società affidataria del servizio, non essendo rilevante, in proposito, la circostanza che il fruitore immediato del servizio sia l’Amministrazione e non i membri della comunità comunale. Ciò in quanto devono considerarsi servizi pubblici locali sia quelli di cui i cittadini usufruiscano uti singuli, sia quelli di cui gli stessi usufruiscano come componenti la collettività, purché rivolti alla produzione di beni ed utilità per obiettive esigenze sociali.

2. REQUISITI DI LEGITTIMITÀ

Come si è già accennato, le società in house sono quelle con capitale interamente pubblico, sulle quali l’amministrazione/i titolare/i del capitale esercitano un controllo analogo a quello esercitato su un proprio servizio e che realizzano la parte più importante della loro attività con quest’ultimi.

1) La totale partecipazione pubblica al capitale sociale.

Con riguardo al requisito della totale partecipazione pubblica, la Corte di Giustizia (C-26/03, sentenza Stadt Halle dell’11 gennaio 2005) ha stabilito che la partecipazione, seppure minoritaria, di una impresa privata esclude, in ogni caso, che l’Amministrazione aggiudicatrice, possa esercitare sulla società partecipata un controllo analogo a quello che la stessa esercita sui propri servizi. La presenza di un terzo privato presuppone sempre da parte della pubblica amministrazione un minimo di considerazione dei suoi interessi economici e questo potrebbe ostacolarla nella concreta realizzazione dell’interesse pubblico. Non sembra che possa essere data eccessiva rilevanza alla selezione del socio privato attraverso gara, atteso che per i giudici comunitari è la commistione tra pubblico e privato che esclude in radice la possibilità di affidamento diretto.

A tale ultimo riguardo, si evidenzia che esistono dei diversi indirizzi giurisprudenziali nazionali.

Si è affermato, infatti, che se il socio è scelto mediante gara, i soli servizi conformi allo scopo originario della società mista possono essere affidati direttamente alla società, mentre la mancata osservanza della procedura concorsuale nell'affidamento del servizio è compensata dal rispetto di una procedura di evidenza pubblica per la scelta del socio privato. Altrimenti, la costituzione da parte degli enti locali di società per azioni a capitale misto al precipuo scopo di affidare loro i servizi pubblici di propria competenza non avrebbe alcuna pratica utilità, mentre la procedura ad evidenza pubblica per l’affidamento dei singoli servizi costituirebbe un’inutile duplicazione di un procedimento già esperito.

A livello normativo, gli affidamenti diretti alle società miste sono consentiti dal citato d.l. n. 223/2006 (c.d. decreto Bersani), convertito dalla legge n. 248/2006, purché siano rispettate le condizioni dettate all’articolo 13, tese a porre un limite all’attività delle società costituite dagli enti locali. Il decreto legge Bersani dispone, infatti, che le società strumentali di Regioni ed enti locali debbono operare esclusivamente con gli enti costituenti ed affidanti; non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara; non possono partecipare ad altre società o enti. Al fine di superare eventuali obiezioni in sede comunitaria, l’art 13 del citato decreto ha concepito le società in house come società fuori mercato, in ordine alle quali non possono prodursi interessi privati in conflitto con interessi pubblici. Dette società, infatti, non hanno collegamenti con il mercato, né in termini di partecipazioni, né in termini di prestazioni, peraltro imponendo l’osservanza dell’esclusività in luogo del criterio comunitario della prevalenza dell’attività con l’autorità o le autorità pubbliche controllanti.

Il Consiglio di Stato, in una recente pronuncia, ritiene che non assumono alcun rilievo le considerazioni del Comune in merito alla pretesa identità tra l’Ente pubblico territoriale ed una costituenda società mista. “Non vi è dubbio, infatti, che ai sensi dell’art. 22 legge n. 142/1990, ed oggi dell’art. 113 T.U.E.L., la società mista deputata a gestire i servizi pubblici locali è un soggetto formalmente e sostanzialmente distinto rispetto all’ente locale. Il rapporto è di terzietà non di immedesimazione” (cfr. Consiglio di Stato , sez. VI, sentenza 01.06.2007 n. 2932)

A tal punto il Consiglio di Stato richiama la giurisprudenza comunitaria, in base alla quale un rapporto di immedesimazione tra l’ente locale e la società chiamata a gestire un servizio pubblico può riscontrarsi solo laddove concorrano i seguenti due elementi:

a) l’amministrazione deve esercitare sul soggetto affidatario un “controllo analogo” a quello esercitato sui propri servizi;

b) il soggetto affidatario deve svolgere la maggior parte della propria attività in favore dell’ente pubblico di appartenenza.

Secondo il Consiglio di Stato, proprio “in ragione del "controllo analogo" e della "destinazione prevalente dell’attività", l’ente (c.d. in house) non può ritenersi terzo rispetto all’amministrazione controllante ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dell’amministrazione stessa (principi affermati dalla Corte di giustizia a partire dalla sentenza Teckal del 18 novembre 1999, C-107/98)”

2) Il controllo analogo.

Il requisito del controllo analogo ha determinato un acceso e costante dibattito in dottrina ed in giurisprudenza sia a livello comunitario, che a livello nazionale.

a) Criteri di individuazione dei requisiti del controllo analogo elaborati dalla giurisprudenza comunitaria.

In merito a tale requisito, già la Commissione Europea con la comunicazione 26 giugno 2002 (diretta al Governo italiano per sollecitare le modificazioni all’art. 113 del Testo Unico degli Enti Locali, come modificato dall’art. 35 l. n. 448/2001, nell’ambito della procedura di infrazione comunitaria aperta per contrasto della disposizione con la normativa ed i principi comunitari in materia di appalti e di concorrenza), aveva escluso che la sola partecipazione totalitaria dell’Amministrazione aggiudicatrice nella società aggiudicataria del servizio potesse garantire la situazione di dipendenza organica che normalmente si realizza nell’organizzazione burocratica di una Pubblica amministrazione e quindi un “controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi”.

Sempre nella stessa nota l’Istituzione Europea ha precisato, infatti, che “affinché tale tipo di controllo sussista non è sufficiente il semplice esercizio degli strumenti di cui dispone il socio di maggioranza secondo le regole proprie del diritto societario”. La Commissione ritiene che per aversi controllo analogo occorre verificare che l’Amministrazione controllante eserciti “un assoluto potere di direzione, coordinamento e supervisione dell’attività del soggetto partecipato e che riguarda l’insieme dei più importanti atti di gestione del medesimo”.

In seguito, la Corte di Giustizia, con la sentenza 11.1.2005 C. 26/2003, Stadt Halle (relativamente ad una fattispecie riguardante l’affidamento diretto a società mista pubblico-privata di un appalto di servizi avente ad oggetto attività di smaltimento rifiuti), ha ribadito che “qualora un’amministrazione aggiudicatrice intenda concludere con un’entità giuridicamente distinta un contratto a titolo oneroso…l’appello alla concorrenza non è obbligatorio…nel caso in cui l’autorità pubblica eserciti sull’entità distinta in questione un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi e tale entità realizzi la parte più importante di attività con l’autorità o le autorità pubbliche che la controllano”. Ha escluso il controllo analogo qualora nella società aggiudicataria del servizio una o più imprese private detengano una partecipazione anche minoritaria insieme con l’amministrazione aggiudicatrice.

Successivamente, la Corte di Lussemburgo con la sentenza 21.7.2005 C. 231/03 ha affermato che “una società aperta, almeno in parte, al capitale privato…impedisce di considerarla una struttura di gestione ”interna" di un servizio pubblico nell’ambito dei comuni che ne fanno parte". Ha, inoltre, escluso che una partecipazione “esigua” dell’ente locale nella società affidataria diretta del servizio pubblico possa configurare una forma di controllo tale da “giustificare un eventuale differenza di trattamento” nell’osservanza della normativa comunitaria in materia di appalti.

Il criterio del controllo analogo può essere soddisfatto anche nel caso di imprese partecipate da più enti pubblici. Le conclusioni dell’Avvocato generale Christine Stix Hackl del 12 gennaio 2006 n. C-340/04 prevedono, infatti, che al giudice nazionale spetti la valutazione del caso concreto sulla base di una serie di elementi, tra cui gli interessi dei detentori delle quote; la trasformazione dell’azienda municipalizzata in una società per azioni; la circostanza che l’apertura della società al capitale esterno non sia prevista obbligatoriamente; la possibilità per la società partecipata indirettamente di aprire filiali anche all’estero; l’ampiezza delle possibilità di influenzare la nomina del consiglio di amministrazione e la dirigenza della società; i poteri del consiglio di amministrazione della società, nonché la circostanza che il Comune partecipi alla medesima società indirettamente, attraverso un’altra società per azioni, il cui capitale appartiene per il 99,98% al Comune.

b) Criteri di individuazione dei requisiti del controllo analogo elaborati dalla giurisprudenza nazionale.

Sulla questione il Consiglio di Stato, già con l’ordinanza n. 2316 del 22.4.2004, Sez.V, aveva espresso l’avviso che l’Amministrazione dovesse esercitare sulla società controllata un assoluto potere di direzione, coordinamento e supervisione dell’attività del soggetto partecipato, che non possiede alcuna autonomia decisionale in relazione ai più importanti atti di gestione e che, in concreto, costituisce parte della stessa Amministrazione con la quale deve trovarsi in una condizione di dipendenza finanziaria ed organizzativa.

Successivamente, il Consiglio di Stato, con sentenza della sez VI, n. 168/2005 ha ritenuto che il rapporto di controllo analogo è perfezionato allorquando tra Amministrazione aggiudicatrice e società aggiudicataria sussista un rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica; tale situazione si verifica quando sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell’ente pubblico sull’ente societario (cfr. anche la più recente pronuncia del Consiglio di Stato n. 5072/2006, sez. V).

Il TAR Campania, sez. I, n. 2784/2005 è dell’avviso che “il soggetto gestore deve sostanzialmente essere configurato come una sorta di longa manus dell’affidante, pur conservando natura distinta e autonoma rispetto all’apparato organizzativo dell’ente: deve, in altri termini, determinarsi una sorta di ”amministrazione indiretta", nella quale la gestione del servizio, in un certo senso, resta saldamente nelle mani dell’ente concedente, attraverso un controllo assoluto sulla attività della società affidataria la quale, a sua volta, è istituzionalmente destinata in modo assorbente ad operare in favore di questo…Si deve dunque verificare se i rapporti organizzativi e funzionali tra ente e società a capitale pubblico siano tali da realizzare in concreto questa assimilazione e tale indagine dovrà incentrarsi sull’esame dell’atto costitutivo e dello statuto della società…".

Analogamente si sono espressi il TAR Friuli Venezia Giulia 15.7.2005 n. 634 e il TAR Sardegna, 2.8.2005 n. 1729, i quali hanno affermato che può ritenersi raggiunto l’obiettivo di consentire il controllo qualora esista ”una forma penetrante di controllo, che investe non solo gli atti di gestione straordinaria, ma anche, in parte rilevante, la gestione ordinaria e gli organi stessi" della società.

In definitiva, ai sensi della richiamata giurisprudenza, il controllo analogo sulla società pubblica affidataria del servizio può ritenersi garantito dalla previsione espressa, nell’atto costitutivo e nello statuto della società, di stringenti poteri di controllo finanziario e gestionale a favore dell’Amministrazione aggiudicatrice. Il controllo deve riguardare le attività fondamentali e di straordinaria amministrazione, il perseguimento degli obiettivi di interesse pubblico assegnati, nonché gli organi della società.

In sostanza, ai fini della configurazione del “potere di direzione, coordinamento e supervisione”, “non è sufficiente il semplice esercizio degli strumenti di cui dispone il socio di maggioranza secondo le regole proprie del diritto societario”. A tal proposito la Circolare del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio del 6 dicembre 2004 (Affidamento in House del servizio idrico integrato) recita che “è obbligatorio che l’atto costitutivo e lo statuto prevedano che la società sia dotata di un’autonomia finanziaria e decisionale limitata e preventivamente circoscritta. In particolare, le determinazioni concernenti l’amministrazione straordinaria e quelle di determinante rilievo per l’attività sociale, quali il bilancio, la relazione programmatica, l’organigramma , il piano degli investimenti, il piano di sviluppo ed equivalenti, dovranno essere approvati dagli enti partecipanti alla società. Gli amministratori ed il Direttore della s.p.a. saranno nominati direttamente dagli enti locali proprietari”.

Al contrario, si riscontra un controllo analogo nel caso di affidamenti diretti a società ove vi siano previsioni statutarie in forza delle quali l’impresa può rendere servizi solo all’ente affidante e sia regolata da rigorosi atti di affidamento, ordini e/o contratti di servizio che prevedono forme di controllo sulla qualità dei servizi, fissano in modo chiaro i sistemi tariffari e le modalità di indennizzo a fine affidamento, i piani di investimento ed i loro ammortamenti e tutto ciò che ritiene opportuno disciplinare e regolare direttamente.

Nella sentenza 12 dicembre 2005 n. 986, il Tar Friuli ha addirittura proceduto ad un’elencazione (seppur non tassativa) di alcuni possibili elementi indicatori del “controllo analogo”:

  • consultazioni tra gli enti associati circa la gestione dei servizi pubblici svolti dalla società, circa il suo andamento generale e, soprattutto circa le concrete scelte operative: con audizione da disporsi con frequenza ragionevole, del Presidente e del Direttore generale della società;
  • modifiche dello statuto della società, previo invio ai singoli enti per gli adempimenti di competenza;
  • consenso degli enti associati all’eventuale esercizio di attività particolari;
  • ispezioni dirette da parte dei soci;
  • controllo mediante una Commissione, dello stato di attuazione degli obiettivi, anche sotto il profilo dell’efficacia, dell’efficienza ed economicità della gestione, con successiva relazione all’assemblea degli azionisti.

In conclusione, il controllo analogo a quello esercitato sui servizi dell’ente affidante deve, quindi, essere configurato in termini diversi e più intensi rispetto ai consueti controlli societari, quale attività di controllo forte che si traduce in un potere assoluto di direzione, coordinamento e supervisione dell’attività riferita a tutti gli atti di gestione ordinaria ed agli aspetti che l’ente concedente ritiene opportuni.

Il TAR Lombardia, con sentenza del 17.07.2006, n. 1837, dopo aver ribadito che il modello dell’in house providing implica che “la società affidataria sia in sostanza nient’altro che una sorta di diramazione organizzativa dell’ente locale, privo di una sua autonomia imprenditoriale e di capacità decisionali distinte da quelle dell’ente stesso, tanto da potersi parlare, in tal caso di un mera "autoproduzione" del servizio pubblico”, si sofferma sul contenuto del concetto di controllo analogo, ritenendo che esso implica certamente un “controllo strutturale” sul soggetto affidatario, da parte dell’amministrazione aggiudicatrice. Tale “controllo strutturale” non implica la necessaria integrale partecipazione pubblica al capitale sociale, ma può consistere tanto nel potere di nominare la maggioranza dei soggetti che compongono gli ordini di amministrazione, direzione o vigilanza dell’ente in house, quanto nell’adozione di qualsiasi altro mezzo idoneo ad assicurare un’effettiva dipendenza formale, economica ed amministrativa di quest’ultimo rispetto all’amministrazione controllante.

Anche in dottrina, a questo proposito, si è ritenuto che, affinché possa ritenersi sussistente il controllo analogo, è assolutamente necessario che vi sia il controllo strutturale, mentre non sembra sufficiente un controllo sulle attività (che si sostanzierebbe, invece, in un potere di valutare la conformità dell’attività svolta dall’ente controllato ad un parametro legale).

Si può richiamare, inoltre, la Circolare del Presidente della Giunta Regionale Piemonte del 3 ottobre 2005, n. 4/AMB, secondo cui tale tipo di controllo si esplicita, in via esemplificativa:

1)   nell’obbligo di trasmissione e di preventiva approvazione dei documenti di programmazione e del piano industriale; nella facoltà di modifica degli schemi tipo di contratto di servizio; nel potere di verifica dello stato di attuazione degli obiettivi assegnati anche sotto il profilo della efficacia, efficienza ed economicità.

2) nell’approvazione da parte dell’Amministrazione delle deliberazioni societarie di amministrazione straordinaria e degli atti fondamentali della gestione (il bilancio, la relazione programmatica, l’organigramma, il piano degli investimenti, il piano di sviluppo).

3)   nella nomina e revoca di componenti del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale della società da parte del soggetto controllante.

c) Altri orientamenti giurisprudenziali

Si devono segnalare sul tema oscillazioni giurisprudenziali da parte della Corte di Giustizia e dei giudici nazionali, che hanno dato luogo a nuovi orientamenti, individuando in modo diverso i requisiti del controllo analogo.

Su tale criterio si è soffermato l’Avvocato Generale J. Kokott nelle conclusioni presentate nella causa C-458/03 1/3/2005. Nelle conclusioni si legge che il controllo della Pubblica amministrazione sui propri servizi è caratterizzato in prevalenza da poteri di direzione e di vigilanza. All’interno dell’ente spetta di regola al dirigente il potere di impartire ordini ed istruzioni agli uffici subordinati. Diversamente, la sentenza della Corte di giustizia Teckal del 1999 con cui per la prima volta è stato definito l’istituto dell’affidamento in house, stabiliva che, per la configurazione del controllo analogo, i mezzi di influenza utilizzati sulle imprese pubbliche non sono necessariamente coincidenti con quelli utilizzati sui propri servizi, in quanto determinante “ai fini dell’equiparazione di una impresa ad un servizio amministrativo…è piuttosto il fatto che all’interno di tale società l’amministrazione aggiudicatrice sia in qualunque momento concretamente in grado di realizzare pienamente gli obiettivi fissati nell’interesse pubblico…l’affermazione dell’interesse pubblico all’interno della società è garantita…già con gli strumenti del diritto societario e, in particolare, per mezzo della presenza, all’interno degli organi societari, del rappresentante nominato esclusivamente dalla pubblica amministrazione” (sentenza Corte di giustizia, Teckal, 18.11.1999, n. C-107/98).

In linea con detto orientamento, il TAR Campania, nella citata sentenza n. 2784 del 30/3/2005, ha incentrato la sua indagine sull’esame dell’atto costitutivo e dello statuto della società a capitale pubblico, ritenendo sufficiente: 1) l’esistenza di attività che, in quanto rientranti nei compiti istituzionali propri dell’Ente pubblico, non possono che essere rivolte esclusivamente a vantaggio di quest’ultimo; 2) la sussistenza di un penetrante controllo economico e gestionale dell’Ente in considerazione della composizione e nomina degli organi sociali. Infatti, in considerazione del fatto che l’assemblea della società - cui spetta il potere di approvare il bilancio e la nota integrativa nonché di decidere sulla destinazione degli utili sociali – risulta costituita dal solo socio pubblico, mentre il consiglio di amministrazione ed il collegio sindacale risultano composti in maggioranza da membri nominati dall’Amministrazione, ne consegue che l’Ente pubblico può controllare interamente la gestione della società.

In particolare, poi, deve evidenziarsi che il Consiglio di Stato, con sentenza n. 7345/05, Sez.V, nello specificare i requisiti che in concreto deve assumere il controllo analogo, ha mutato il suo precedente orientamento. Al riguardo, ha ritenuto che l’adozione nel diritto comunitario della figura societaria come strumento alternativo alla prestazione diretta dei servizi pubblici impone di risolvere il problema del controllo analogo secondo un criterio coerente con la peculiarità dell’istituto in questione. Se si effettua l’affidamento diretto ad una società, il servizio dovrà essere gestito da una persona giuridica separata e distinta dall’Amministrazione aggiudicatrice, vale a dire un ente che agisce solo mediante gli organi di cui è dotato, escludendo, in tal modo, l’applicazione di un modulo che riproduca, tra Amministrazione e società affidataria, quella forma di dipendenza che è tipica degli uffici interni all’ente.

Pertanto, per il Consiglio di Stato, l’Ente pubblico o gli Enti pubblici, proprietari dell’intero pacchetto delle azioni, sia mediante la nomina degli organi, sia mediante l’approvazione di opportune deliberazioni, sono in condizione di imporre, o meglio, di svolgere, ogni tipo di verifica e di rendiconto, in modo che sia operante la sostanziale identificazione riscontrabile tra il soggetto societario agente e la mano pubblica che gli affida il servizio.

E’ proprio tale identificazione che rende compatibile con le regole comunitarie di tutela della concorrenza l’affidamento di un servizio pubblico ad una società privata senza l’adozione delle procedure ad evidenza pubblica.

Il Consiglio di Stato, a sostegno del nuovo orientamento, richiama la sentenza 11 gennaio 2005, n. 2603 in C-26 della Corte di Giustizia, la quale afferma che il possesso dell’intero pacchetto azionario della società da parte della mano pubblica garantisce lo svolgimento del servizio secondo “esigenze proprie del perseguimento di obiettivi di interesse pubblico”.

Per i giudici amministrativi appare palese, dunque, che, secondo questa giurisprudenza comunitaria, il problema della sussistenza del controllo analogo si risolve in senso affermativo se la mano pubblica possiede il solo requisito della totalità del pacchetto azionario della società affidataria.

d) Ultimi interventi: in particolare, sentenza dell’11 maggio 2006, n. C-340/04

Recentemente, i giudici comunitari sono ritornati sul tema dell’affidamento diretto dei servizi pubblici. La Corte di Giustizia, evidentemente mossa dal bisogno di fissare dei principi in materia di in house providing, in linea con quanto già stabilito nelle sentenze “Stadt Halle” e “Parking Brixen” (C-458/03 del 13/10/2005), nella sentenza n. C-410/04 del 6 aprile 2006 ha espresso l’avviso che le condizioni per l’affidamento diretto devono essere interpretate in modo restrittivo.

La Corte, con la successiva sentenza dell’11 maggio 2006, n. C-340/04, torna a ricondurre la nozione di controllo alla possibilità da parte dell’amministrazione affidante di esercitare una influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti della società partecipata, considerando elemento non sufficiente e decisivo la detenzione in mano pubblica dell’intero capitale sociale. In sostanza, il controllo dell’Ente pubblico - proprio perché circoscritto all’esercizio dei semplici poteri riconosciuti dal diritto societario ai soci di maggioranza, senza alcuna previsione aggiuntiva a beneficio della pubblica amministrazione - non garantisce al soggetto affidante alcuna significativa influenza, anche in ragione dell’ampiezza dei poteri attribuiti al consiglio di amministrazione della società.

In definitiva, gli strumenti del diritto privato, essendo basati su un sostanziale principio di autonomia gestionale, da soli non assicurano quella rispondenza dell’operato del Consiglio d’amministrazione all’interesse del socio che è, invece, necessaria perché si possa ritenere che questa società non abbia nessuna autonomia sostanziale, restando soltanto una propaggine organizzativa non distinguibile dell’ente pubblico.

Il controllo analogo evocato dalla Corte di giustizia va, dunque, parametrato rispetto a quello effettuato sugli organi delle pubbliche amministrazioni ricavabile dal d.lgs. 165/2001 (T.U. sul pubblico impiego), oltre che dal d.lgs. 267/2000 (TUEL). Con la privatizzazione è stato ridimensionato il vincolo di subordinazione gerarchica tra gli organi di indirizzo politico e gli organi di gestione amministrativa, per cui è stato eliminato il potere di ordine così come quello di revoca, di avocazione e di decisione dei ricorsi gerarchici. Sono stati invece mantenuti poteri compatibili con una relazione di indirizzo e di coordinamento e permane, in via residuale, il potere di annullamento degli atti per vizi di legittimità così come un potere di sostituzione in ipotesi delimitate.

3) Prevalenza dell’attività di una società con l’ente pubblico che la detiene.

Le società in house si caratterizzano per il fatto che il servizio pubblico viene ad esse affidato in gestione “direttamente” ossia senza il previo espletamento di una pubblica gara. Ciò comporta che tali società sono tenute a realizzare la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che le controllano.

Per quanto concerne il criterio della prevalenza dell’attività di una società con l’ente pubblico che la detiene, l’articolo 113, comma 5, lettera c), del T.U.E.L. n. 267/2000, non indica la misura di detta prevalenza. Il requisito in esame sta a significare che la società partecipata non è attiva sul mercato, vale a dire in concorrenza con altri soggetti economici, ma rivolge le sue prestazioni in via esclusiva all’ente partecipante. Le attività diverse da quella principale devono essere di carattere marginale.

Le regole della concorrenza risulterebbero violate in caso di affidamento diretto di un pubblico servizio da parte di un’amministrazione pubblica ad un’impresa che sta sul mercato, posto che tale impresa verrebbe favorita rispetto ad altre imprese che pure stanno sul mercato, alterando la par condicio tra imprese concorrenti. Non è così, invece, quando si tratta di organismi che non stanno sul mercato o che vi stanno in posizione del tutto trascurabile, quali sono quelli che operano esclusivamente a favore degli enti pubblici che li controllano. Il requisito in questione va valutato, innanzitutto, sotto il profilo quantitativo, ossia in termini economici facendo riferimento al fatturato della società. Ne consegue che nella misura in cui l’attività economica di tale soggetto è nella maggior parte svolta a vantaggio dell’autorità controllante, si è in presenza di un servizio affidato in house, in cui l’ente territoriale utilizza le prestazioni per fini pubblici e per destinarle principalmente a suo vantaggio, come se si trattasse di un servizio interno che agisce per la sua istituzione. Solo in tale caso può parlarsi di una proiezione amministrativa dell’ente pubblico che lo esonera dall’osservare le regole di concorrenza.

Si tratta, a questo punto, di precisare cosa si intende per “parte più importante” dell’attività. Se si vuole adoperare un criterio basato sulla percentuale, si può fare riferimento alla disciplina sugli appalti di servizi, anche dei settori esclusi (art. 13 della Dir. 93/38/CEE e l’art. 8 del d. lgs 158/1995). Queste ultime disposizioni consentono che, nei c.d. settori esclusi o speciali, le pubbliche amministrazioni affidino direttamente appalti (di servizi, lavori o forniture) ad un’impresa collegata, purché almeno l’80% del fatturato dell’ultimo triennio provenga dallo svolgimento di servizi o di lavori o dalla fornitura di prodotti all’amministrazione cui è collegata. “La ragione che giustifica l’affidamento diretto di un appalto ad una società collegata è, invero, la medesima che giustifica l’affidamento diretto di un pubblico servizio ad una società in house, in quanto, in entrambi i casi, l’avvalersi di società collegate o controllate rappresenta una scelta auto-organizzativa della pubblica amministrazione, la quale evita, in tal modo, di rivolgersi al mercato. Il parametro dell’80% del fatturato realizzato dalla società in house per la gestione dei servizi pubblici ad essa affidati dall’amministrazione che la controlla può, quindi, considerarsi un valido criterio dal quale può ragionevolmente desumersi quando il requisito della prevalenza dell’attività sia da ritenere soddisfatto”.

A questo proposito, però, nelle conclusioni dell’Avvocato Generale Christine Stix Hackl del 12 gennaio 2006 n. C-340/04 si afferma che non costituisce un parametro per determinare la prevalenza dell’attività svolta la soglia dell’80% di cui all’art. 13 della Direttiva 93/38 CEE che fa riferimento al fatto che “almeno l’80% della cifra d’affari media realizzata nella Comunità dall’impresa in questione negli ultimi tre anni in materia di servizi derivi dalla fornitura di detti servizi alle imprese alle quali è collegata”.

I criteri cui fare riferimento dovrebbero essere, dunque, non solo di natura quantitativa, ma anche di natura qualitativa, attinenti, in sostanza, al soggetto in favore del quale la società controllata svolge la propria attività.

3. CONCLUSIONE

In conclusione, la giurisprudenza, sia nazionale che comunitaria, concentra la propria attenzione sul concetto di controllo analogo, ritenendo che quest’ultimo non possa sussistere nei confronti di una società mista la cui compagine risulti composta anche dal capitale privato; inoltre, la partecipazione pubblica totalitaria è elemento necessario, ma non sufficiente, per integrare il requisito del controllo analogo, occorrendo a tal fine che:

a) il consiglio di amministrazione della s.p.a. in house non deve avere rilevanti poteri gestionali e l’ente pubblico deve poter esercitare maggiori poteri rispetto a quelli che il diritto societario riconosce alla maggioranza sociale;

b) l’impresa non deve aver «acquisito una vocazione commerciale che rende precario il controllo» dell’ente pubblico e che può risultare, tra l’altro, dall’ampliamento dell’oggetto sociale; dall’apertura obbligatoria della società ad altri capitali; dall’espansione territoriale dell’attività della società a tutto il territorio nazionale e all’estero;

c) le decisioni più importanti devono essere sottoposte al vaglio preventivo dell’ente affidante.

L’Autorità garante della concorrenza e del mercato si è pronunciata il 28 dicembre 2006 in ordine alle modalità di affidamento dei servizi pubblici locali, con particolare riferimento al sistema dell’in house providing, ritenendo che tale modalità di affidamento deve essere sottoposta a stringenti requisiti di legittimità al fine di porre un opportuno argine alla distorsione di uno strumento operativo che originariamente era volto a consentire una gestione diretta del servizio in casi particolari e circoscritti, ma che nella prassi è stato spesso utilizzato per eludere il necessario confronto concorrenziale nell’affidamento dei servizi attraverso procedure di gara.

In sostanza, ai fini di un più efficiente utilizzo del modello dell’affidamento in house, da un lato, si deve riconoscere la necessità di un rapporto più intenso e penetrante tra ente proprietario e società partecipata, e da un altro lato, si devono valorizzare le peculiarità dello strumento giuridico societario per i fini che gli sono propri, pur in un contesto di finalità indiscutibilmente pubbliche. Ne consegue, pertanto, che sarà opportuno impostare la questione del controllo analogo prendendo in considerazione tutti gli strumenti consentiti dall’ordinamento giuridico italiano, affinché venga esercitato dalla società in house il maggior controllo possibile nel rispetto dello statuto di autonomia gestionale di cui gode per legge tale soggetto giuridico, per non snaturarne la fisionomia limitandone le potenzialità.

 

10 settembre 2007