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Il concetto di libertà nel pensiero repubblicano

SSAI – Scuola Superiore Amministrazione dell’Interno

 I Corso per Consiglieri di Prefettura

 

Laura Pergolizzi

 

IL CONCETTO DI LIBERTA’ NEL PENSIERO REPUBBLICANO

  Roma, dicembre 2006
 

 (abstract)

Il repubblicanesimo è una corrente politico filosofica che trae fondamento dal pensiero repubblicano, le cui origini, molto remote, partono dall’antica Grecia e dalla Roma classica, arricchendosi di contenuti nel periodo tardo medievale, nel Rinascimento italiano, ma anche a seguito delle esperienze della rivoluzione inglese e di quella francese fino a giungere ai nostri giorni apportando spunti di riflessione di notevole attualità. Questo lavoro si propone di offrire una prospettiva quanto più ampia possibile dei principi che stanno alla base del concetto di libertà nel pensiero repubblicano in cui si identifica essenzialmente la libertà politica.

Dall’analisi delle fonti storiche emergono, in particolare, due concezioni di libertà: 1) la libertà negativa, intesa come libertà dalle interferenze, nel senso che nessuno può impedire di perseguire i fini che ci si prefigge di raggiungere; 2) la libertà positiva, che consiste nel darsi da soli le leggi e partecipare direttamente all’attività sovrana e del corpo legislativo. Non è vero, poi, che libertà e legge sono in contrasto. La libertà esige, infatti, il governo delle leggi e si è liberi grazie alle leggi se queste sono più forti degli uomini e non sono arbitrarie. Ma i teorici repubblicani hanno elaborato una terza concezione di libertà, quella repubblicana che significa, in sostanza, essere liberi dal dominio, dalla volontà arbitraria di altri uomini.

Inoltre, non esiste una sola concezione della tradizione repubblicana, ma almeno due, di cui una più “aristotelica” e l’altra più “pluralista”. La prima, denominata “repubblicanesimo classico”, si richiama a John Pocock da cui trae ispirazione anche Hannah Arendt. La seconda è composta da diversi autori, in particolare Philip Pettit, Quentin Skinner e Maurizio Viroli, i quali sostengono che negli autori classici romani come Cicerone, nell’esperienza dei liberi comuni medievali italiani ed in autori come Machiavelli, si ritrova una nozione di libertà diversa da quella propria del liberalismo.

In particolare, le prospettive ‘neorepubblicane’ di Pettit e di Viroli, utilizzando i risultati della ricerca di Skinner, hanno cercato di costruire teorie normative sistematiche ed originali: alla luce della teoria della liberty as non domination (libertà come non-dominio), il primo ha proposto una complessiva teoria repubblicana dello Stato e del governo, mentre il secondo ha sviluppato una rivalutazione dei concetti di ‘patria’ e di ‘patriottismo’.

Questi studi permettono di cogliere la vera essenza del repubblicanesimo che vuole essere non solo una nobile tradizione del passato, ma anche una nuova utopia della libertà politica ed un effettivo programma di ricerca per le politiche pubbliche. Per riuscire nell’intento di elaborare un progetto intellettuale e politico così importante per le democrazie, il repubblicanesimo deve cercare di distinguersi da altre tendenze del pensiero politico contemporaneo, soprattutto dal liberalismo. Da ciò è derivato un ampio dibattito sulle differenze tra repubblicanesimo e liberalismo che ha dato luogo a diverse prospettive, da un lato, di integrazione tra le due correnti di pensiero, dall’altro, di derivazione ed innovazione (si è sostenuto, infatti, che il liberalismo è una dottrina derivata dal repubblicanesimo, nel senso che da quest’ultimo ha tratto alcuni dei suoi principi fondamentali).

Le tre idee fondamentali della tradizione romana, da cui trae origine gran parte del dibattito sul repubblicanesimo contemporaneo, sono: una concezione della libertà come non dominio, benché nell’antichità i cittadini fossero limitati nelle loro azioni così come in ogni altra forma di espressione del pensiero; l’idea che la libertà, intesa come non dominio, richieda una costituzione che orienti la comunità politica verso il bene comune; e la convinzione che certe forme istituzionali debbano entrare a far parte di tale costituzione.

I fini principali cui deve tendere una repubblica sono, poi, una condizione complessiva di sicurezza e di tutela da ogni forma di dominazione ed interferenza arbitraria, il superamento del bisogno di ricorrere ad atteggiamenti strategici di deferenza nei confronti dei potenti e l’assenza d’ogni forma di subordinazione sociale. A questo punto, dato il nesso fondamentale tra la libertà ed il raggiungimento delle finalità in questione, la libertà come non dominio va considerata, innanzitutto, un bene primario. Si tratta, in ogni caso, di un tipo di bene che non può essere perseguito singolarmente dagli individui in modo decentrato; è, dunque, più vantaggioso perseguirla attraverso un’azione politica comune e centralizzata, vale a dire attraverso lo Stato.

Inoltre, se non si vuole che le azioni del governo siano soggette a manipolazioni di tipo arbitrario, deve essere soddisfatto un certo numero di condizioni costituzionali. Una prima condizione è quella dell’impero della legge, secondo cui il governo è tenuto ad operare attraverso leggi che si conformano a vincoli ben definiti: ovvero leggi generali, non retroattive, correttamente promulgate e chiare nella formulazione. Una seconda condizione è rappresentata dal vincolo della distribuzione del potere, secondo cui il potere dello stato dovrebbe essere diviso tra una pluralità di soggetti; il che significa favorire la divisione tra la funzione legislativa, esecutiva e giudiziaria, ma anche altre forme di distribuzione del potere, come quelle assicurate da un sistema bicamerale o federale. Una terza condizione è costituita dalla garanzia contro la maggioranza, secondo cui dovrebbe essere impedito, per quanto possibile, alla volontà della maggioranza cambiare con facilità le leggi fondamentali dello Stato. A prescindere, poi, dalla quantità di vincoli previsti da un sistema costituzionale, resterà sempre un certo margine di discrezionalità nell’azione dello Stato e nei relativi processi decisionali: e ciò sia nei confronti del potere legislativo, sia nei confronti del potere esecutivo e di quello giudiziario, in quanto l’interpretazione della legge non è mai definita in ogni suo aspetto dalla legislazione. Il solo mezzo di cui dispone un regime repubblicano per garantire che l’esercizio di discrezionalità non sia di reale ostacolo agli interessi della popolazione nel suo complesso o ad una parte della comunità, consiste nell’introduzione di dispositivi che rendano possibile ai cittadini contestare le azioni di governo.

 Si profila, in tal modo, un ideale di democrazia basata sulla possibilità per chiunque di contestare qualsiasi provvedimento governativo. Una democrazia di tale tipo, definita “contestataria” da autorevoli studiosi quali Pettit, dovrà essere deliberativa, vale a dire, dovrà prevedere che le decisioni siano tendenzialmente prese alla luce di considerazioni di comune interesse, se si vuole che agli individui sia assicurata in maniera sistematica la possibilità di contestare le azioni del governo.

I teorici repubblicani hanno sempre ritenuto che lo Stato è di per sé necessario sia per proteggere le persone da nemici esterni ed interni, sia per garantire contro l’abuso di ricchezze private e di autorità. Si tratta di fini che derivano, in sostanza, dall’esigenza di promuovere la libertà delle persone. Per questa ragione si discute tanto sulle forme di governo che più si attagliano e che meglio sono in grado di soddisfare le molteplici esigenze che il pensiero repubblicano si propone di garantire. Il tema della libertà repubblicana si integra, dunque, con i temi attuali del pluralismo, delle istituzioni politiche democratiche e dei modelli che più garantiscano la rappresentatività del popolo e la tutela da ogni possibile forma di interferenza e dominazione.

E’ certo, comunque, che i principi del pensiero repubblicano hanno alimentato (e continuano a farlo) il dibattito filosofico e politico contemporaneo, soprattutto oggi in cui si riscontra una crisi strutturale della democrazia e della politica in generale. Le cause di tale crisi sono le più diverse, in quanto si assiste, da un lato, all’avanzamento crescente dei processi di globalizzazione economica, alla caduta delle ideologie, alla crescita degli organismi sopranazionali nella prospettiva europea, alla sempre maggiore riduzione delle possibilità di controllo da parte dei cittadini sull’operato della politica fino a giungere al fenomeno della deregolamentazione che tende a governare sempre di più la vita economica e politica; dall’altro, si assiste all’apertura sempre maggiore degli Stati-Nazione a fenomeni di multiculturalismo e pluralismo che chiaramente comportano il rischio di perdere quei punti di riferimento che avevano fornito le coordinate della politica degli Stati nel Novecento.

Alcuni studiosi e politologi hanno messo in luce come a queste preoccupazioni si aggiunge la minaccia del terrorismo internazionale, a seguito della quale la paura collettiva, l’emergenza nazionale e l’enfasi sulle soluzioni militari determinano la graduale erosione del principio di separazione dei poteri, riducendo il controllo del legislativo e delle corti di giustizia ed attenuando il controllo popolare con la conseguenza di un depauperamento delle libertà e delle garanzie costituzionali.

Dal vasto repertorio concettuale della tradizione repubblicana deve essere recuperata, in particolare, la valorizzazione del ruolo politico svolto dagli “umori” della cittadinanza attraverso la mobilitazione ed il conflitto. Rilevante, in tal senso, diviene il modo in cui viene assicurato il mantenimento e l’articolazione dei luoghi pubblici e politici, dove le istanze della società (che lasciate a sé stesse tenderebbero ad esprimersi nei vari corporativismi) possono trasformarsi in vere e proprie proposte politiche generali. Il governo delle città, tratto tipico del repubblicanesimo, torna ad acquisire uno spazio di rilievo: esso costituisce la dimensione ideale in cui è possibile esercitare una cittadinanza autenticamente attiva e far riaffiorare le potenzialità dell’homo civicus.

Nell’epoca della globalizzazione e della rivoluzione telematica le città possono costituire sempre di più il luogo di riferimento per una politica più controllabile dai cittadini, una politica che affronta effettivamente i temi concreti della vita collettiva e dei beni pubblici (dai servizi sociali alla qualità dell’ambiente) e che può attivare le risorse disponibili di senso civico (pur senza esaurirle in un’unica dimensione, e quindi seguendo l’idea di un’identità plurale che sappia muoversi su più livelli). Inoltre, la dimensione urbana, con i suoi spazi pubblici e politici, può favorire un’utile dialettica tra la dimensione del conflitto (lotta per i diritti, rivendicazioni) e quella della mutualità (costruzione di ambiti e di pratiche condivisi).
In questo contesto, il repubblicanesimo è chiamato sempre di più a fare i conti con i processi di una società pluralistica e multiculturale. Per tale ragione può essere utile l’idea di far reagire le sue istanze, in un’ottica più attivistica e conflittualistica, entro il terreno del dibattito attualissimo che concerne, per esempio, la costruzione di una cittadinanza europea, la creazione ed il funzionamento di Consulte cittadine degli stranieri o il riconoscimento e l’esercizio dei diritti politici per i migranti.
 

10 settembre 2007