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Un Prefetto allo "Stato liquido"

enaudiart
Luigi Einaudi
Con periodicità regolare degna del più preciso metronomo, a partire dal famoso anatema einaudiano, la figura del Prefetto – e il suo futuro – vengono messi in discussione con argomentazioni variabili a seconda della particolare fase storico-politica attraversata dalla nostra Repubblica.
A ben vedere, nell’attuale momento e nel panorama ordinamentale italiano, non vi è soggetto amministrativo più “moderno”, nel senso che di seguito si scoprirà, del Prefetto.
A questa conclusione pervengo astraendo dalle contingenze politiche, dalle visioni fatalmente parziali legate a questa o quella riforma amministrativa, ma volgendo lo sguardo ad un orizzonte più ampio.
Comunemente di crisi del Prefetto – e della struttura burocratica da lui diretta, la Prefettura – si parla cogliendo due differenti fenomeni: da un lato il venir meno del principio gerarchico quale fondamento relazionale-organizzativo degli odierni apparati amministrativi pubblici; dall’altro la progressiva erosione di competenze funzionali che la Prefettura, in quanto articolazione periferica ministeriale, ha conosciuto nel corso degli ultimi decenni.
Quanto al primo punto, non mi dilungherò a contestare ciò che è ormai evidente anche agli occhi del neofita di cose amministrative: il Prefetto, da lunghi anni, ha adeguato il proprio operato ai nuovi modelli organizzativi del pubblico agire.
Già prima delle riforme della carriera prefettizia e degli Uffici territoriali del Governo, che hanno ribadito con vigore l’abbandono del tradizionale schema dei rapporti organizzativi basati su ordini, sulla conformità ad istruzioni calate dal vertice, il Prefetto svolgeva il suo ruolo di rappresentante generale del Governo sul territorio utilizzando a piene mani, o per suo statuto costitutivo o perché più funzionali al raggiungimento degli obiettivi, gli strumenti del coordinamento, della mediazione, della collaborazione.
In ciò aiutato, se non “costretto”, dalla sua stessa ontologica collocazione alle dipendenze funzionali da più Ministri.

La seconda questione, quella cioè del lento ma inesorabile assottigliamento delle funzioni attribuite al Prefetto e alle Prefetture (si pensi alle competenze in tema di patenti di guida, di invalidi civili, di controllo sugli atti degli enti locali) muove da un assunto di base non valido, o quanto meno che non è più valido nell’epoca presente: maggiore è il novero delle competenze funzionali affidate ad un soggetto amministrativo, maggiore è il suo “potere” e la sua capacità di “resilienza” ai tentativi di riforma della macchina amministrativa attuati o paventati.
Questo punto di vista, che poteva avere attrattiva in periodi ormai tramontati nella storia dello Stato-apparato, non può più essere accettato nell’era attuale, caratterizzata da continui mutamenti del panorama sociale, politico e quindi anche amministrativo.
Il “successo” di un ente amministrativo non è dato dall’ammasso di procedimenti amministrativi che ad esso fanno capo, dalla congerie di competenze che gli vengono assegnate, dalla varietà delle materie su cui è chiamato ad esprimere il proprio parere.
Non è neanche dato dai “successi passati”, ché questi non fanno aumentare, secondo una progressione aritmetica o geometrica, le probabilità di “successi futuri”, né li garantiscono.
Anzi, l’epoca che viviamo celebra la virtù dell’amnesia, del dimenticare al più presto i risultati pregressi conseguiti, per potersi più agevolmente adeguare al flusso di repentini cambiamenti con “occhi nuovi”, scevri da schematismi obsoleti prima ancora che siano giunti a maturazione.

Volendo parafrasare un fortunato slogan coniato da Zygmunt Bauman, stiamo assistendo al passaggio da uno Stato “solido” ad uno “liquido”, in cui le strutture sociali che circoscrivono le scelte individuali, e con esse le istituzioni garanti della continuità dei comportamenti individuali e collettivi, non riescono più a conservare a lungo il loro assetto, la loro forma.
Gli effetti di una riforma amministrativa, dell’azione di un soggetto pubblico, politico o burocratico che sia, stentano a persistere per un periodo sufficiente a coprire temporalmente il dipanarsi di un progetto di vita individuale.
In questo senso si può parlare di crisi del Prefetto come sintomo della crisi dello Stato.
Invero, il potere non è più allocato tanto a livello di Stato-comunità o di Stato-nazione, quanto ad un livello più elevato, ed anche più sfuggente al controllo della politica, e quindi dei cittadini.
Iniziata dal basso con la crescente parcellizzazione delle prerogative (e delle funzioni) statali, distribuite agli enti regionali e locali, la “sfida allo Stato” è proseguita dall’alto con la cessione di sempre più consistenti fette di sovranità statale a gruppi di Paesi, ad entità sovra-nazionali.
Si è cavalcato il cd. principio di sussidiarietà, mal celando la faccia della medaglia più “indigesta”; organi dello Stato hanno gradualmente trasferito ad altri, quando non abbandonato del tutto, funzioni tradizionalmente proprie affidandole ad organi locali o, a seguito di privatizzazioni ed esternalizzazioni, alle libere forze del mercato, riconoscendo la propria incapacità di risolvere problemi aventi ormai origini e portata globali.

Si è verificata, sostanzialmente, una vera e propria separazione tra potere e politica, quale effetto dell’apertura dei mercati delle merci, dei capitali e del lavoro, in altri termini a causa della globalizzazione, o di quella che alcuni tendono a specificare come globalizzazione negativa.
Assistiamo, per di più, ad un vero e proprio paradosso in cui soggetti “locali” cercano soluzioni locali a problemi globali, fatalmente destinate all’insuccesso.
Come possono essere risolte localmente emergenze quali quella dei rifiuti, quella climatica, delle ondate migratorie, del terrorismo, della sistemazione e integrazione dei profughi dalle varie guerre disseminate nel mondo, cioè questioni dal forte impatto locale ma dalle dimensioni globali?

Se questa rappresentazione della realtà si avvicina al vero, in che modo la figura del Prefetto può rivelarsi utile al governo di fenomeni di così complessa gestione?
Succintamente, posso abbozzare due ordini di risposte.

1) Come già accennato, per dato normativo e tradizione storica il Prefetto è organo amministrativo a tutela dell’interesse generale della cittadinanza; pur essendo radicato nel territorio, ha una visione aperta ed “alta” dei fenomeni sociali, politici, culturali che attraversano i luoghi sottoposti alla sua “giurisdizione”.
Con un corpo ben piantato in terra ed una testa che traguarda fenomeni globali nella prospettiva dell’interesse nazionale, rappresenta il soggetto più idoneo a gestire la perenne osmosi tra esigenze locali e interessi generali, superando al contempo sia i particolarismi che spesso, per occorrenze elettorali, affliggono le scelte degli amministratori locali, sia alcune “algide” prese di posizione a livello comunitario, nonché la durezza del libero esplicarsi delle forze di mercato.
I frequenti interventi prefettizi di mediazione nell’ambito dei conflitti di lavoro, il potere sostitutivo a tutela dei livelli essenziali delle prestazioni riguardanti i diritti civili e sociali, l’opera di vigilanza sul regolare funzionamento degli organi degli enti locali, che può sfociare nella rimozione o scioglimento degli stessi in caso di condizionamento delle decisioni amministrative ad opera di organizzazioni criminali, ormai, sovra-nazionali, sono tutte prerogative affidate non a caso all’istituto prefettizio e che simboleggiano la stretta influenza tra eventi globali e problemi locali.

2) Uno dei principali e più nefasti effetti della cd. globalizzazione negativa è l’incremento esponenziale del senso di insicurezza e di ingiustizia.
Grazie all’apertura del mercato delle informazioni, all’immediatezza della connessione telematica digitale, con copertura pressoché totale della superficie planetaria, siamo interessati da ciò che avviene in località le più remote. Modi di vita alieni al nostro, sofferenze umane che si collocano agli antipodi dalle zone da noi quotidianamente praticate, ci colpiscono, ci emozionano, provocano una “nostra” sofferenza.

immigrazioneLa forte polarizzazione nella distribuzione del reddito tra Paesi sviluppati e Paesi esclusi o emarginati dalla globalizzazione economica favorisce il flusso migratorio di masse di allogeni, la cui integrazione nelle terre di destinazione (o in quelle di transito in cui spesso si interrompe il loro tragitto) si rivela sovente difficile, ed i cui tratti somatici, comportamenti, abitudini, convinzioni differenti suscitano sospetto, diffidenza, paura negli indigeni.

La progressiva dismissione, o quanto meno alleggerimento, dei sistemi di assicurazione pubblica dagli incerti della vita, in tutti gli Stati a democrazia matura, determina la sostituzione del concetto di solidarietà sociale con quello di responsabilità personale.
Ricade ormai sulle spalle dei singoli individui la responsabilità delle scelte, l’onere di sopportarne le conseguenze, il compito di risolvere incertezze dipendenti da circostanze troppo mutevoli per essere governate da intere comunità, figurarsi da singole persone.
Parole d’ordine come “cambiamento”, “flessibilità”, “rischio”, si avvicendano ad altre (“sviluppo”, “carriera”, “progresso”) che presuppongono un percorso di lungo termine, in passato sostenuto dalla fiducia nello Stato “paterno”.
Gli atteggiamenti competitivi sono premiati a scapito di quelli solidaristici; collaborazione e team working sono degradati al rango di stratagemmi temporanei, strumentali al raggiungimento di risultati tattici, a breve termine.

Tutti questi fenomeni determinano un’attenzione, ai limiti della paranoia, verso i profili della sicurezza fisica, dell’incolumità personale e delle cose che ci appartengono.
Il Prefetto, quale autorità provinciale di pubblica sicurezza, organo cui è attribuita la responsabilità generale dell’ordine e della sicurezza collettiva, per poteri riconosciutigli dall’ordinamento e per la cultura e le competenze che gli derivano dall’appartenenza ad una prestigiosa élite burocratica, è soggetto in grado di interfacciarsi al tema sicurezza nei termini più ampi e variegati che il problema esige, al contempo tenendo sotto controllo gli effettivi indici statistici di delittuosità sul territorio e dall’altro comprendendo le cause ultime delle ansie, delle paure, delle insicurezze manifestate dai differenti strati della popolazione tra cui egli vive ed opera.
Seppure è auspicabile un maggiore coinvolgimento degli amministratori locali anche in materia di sicurezza pubblica, è altrettanto opportuno che a problemi di ampia, e spesso planetaria, portata attenda una figura amministrativa autorevole, non soggiogabile dai particolarismi politici, di ampie vedute e di cultura generalista, che sappia cogliere le complesse e cangianti forme del presente “mondo liquido”.
 
 
17 agosto 2007