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Noi e i nostri nuovi vicini di casa

Noi e i nostri nuovi vicini di casa (*)
di Maria Pia Dommarco (viceprefetto)

La convivenza in tutte le circostanze è un edificio difficile da costruire, sia che si parli la stessa lingua e si condividano gli stessi valori, sia, e a maggior ragione, che si appartenga a mondi diversi, pur se confinanti.

Condizione necessaria per imparare a convivere è essere disponibili a conoscere l’altro, un’avventura che costringe spesso a guardarsi allo specchio, per verificare e scoprire la consistenza della propria identità. E’ tra queste due sponde, la conoscenza dell’altro e la riscoperta della propria identità, che si collocano le prospettive di una possibile integrazione tra culture diverse.

Il fenomeno dell’immigrazione, in particolare quello di matrice islamica, con cui da un po’ di tempo ci stiamo misurando, sollecita interrogativi su ciò che dà consistenza alla nostra società, sui modelli di una convivenza possibile, sulle regole che la devono governare. In Italia, gli immigrati che più degli altri si fanno sentire, quelli di fede islamica, sono varie migliaia, rappresentano comunque meno dell’1% della popolazione residente. Una minoranza, dunque, che tuttavia è molto visibile, in parte amplificata ed enfatizzata dai mezzi di comunicazione, forse anche una componente che in futuro conterà sempre di più, ma pur sempre una minoranza.

Di fronte a questa minoranza molto caratterizzata da " usi e costumi" propri è d’obbligo chiedersi: ma la maggioranza da chi è costituita? Meglio, cosa tiene insieme la maggioranza? Quali sono le sue fondamenta? Quale la bussola che può orientare il cammino degli anni a venire?

Ciò che conta nel progettare nuove forme di società, ciò da cui non si può prescindere è l’identità di fondo della società che accoglie.

Solo se è presente un nucleo iniziale ben definito e un sottofondo di riferimento le comunità straniere possono amalgamarsi, integrandosi con gli elementi fondativi.

Solo in presenza, perciò, di una chiara coscienza di sé, presupposto di apertura e di accoglienza, si può evitare che la convivenza civile " impazzisca", magari dopo essersi illusa di poter evolvere secondo i canoni dell’egualitarismo indifferenziato e del relativismo senz’anima, propugnato dai sostenitori della società multiculturale.

Per questo i flussi migratori e le comunità musulmane in particolare costituiscono un’autentica, vertiginosa sfida per la società italiana, costretta ad interrogarsi sulla consistenza di ciò che la costituisce, a ritrovare le idealità e le ragioni profonde che la definiscono come collettività, come nazione, come comunità umana.

La storia ci insegna che le radici culturali e storiche della civiltà occidentale sono da rinvenire nella tradizione cristiana che insieme a quella greco-romana e a quella ebraica ne costituisce il fondamento. La stessa cultura moderna non è che il risultato dell’evoluzione di quella fusione di tradizioni culturali alla quale diamo il nome di cristianità. Trattasi di un dato storico di assoluta incontestabilità per riconoscere il quale non c’è certo bisogno di credere nel Dio della tradizione cristiana….; ad essa, senza dubbio, va riconosciuto il merito di quello che noi oggi siamo, quel certo modo di considerare la persona e in particolare la donna, di organizzare la convivenza, il lavoro eccetera..

Ebbene, tali radici sono seriamente minacciate, e per questo si pone la questione della loro riscoperta, da noi stessi, dall’atteggiamento relativistico che caratterizza l’epoca contemporanea, dal diffuso concetto di tolleranza, intesa ed affermata quale disponibilità ad accettare tutto, ogni possibilità di espressione quale conseguenza della pressocchè illimitata libertà dell’individuo di scegliere per sé quello che meglio ritiene.

Domanda: ma perché…, questo non va bene? Occorre discriminare? Assolutamente no, il fatto è che se ognuno può fare e scegliere quello che vuole, per cui qualsiasi posizione, in quanto espressione della libera determinazione di ciascuno, è accettato e ammesso…quali sono le basi su cui dovrebbe realizzarsi l’integrazione?

Quello che comunemente si ritiene è che si possa convivere, pur nella diversità, fermo restando il rispetto reciproco. Ma il rispetto reciproco, è una base troppo debole di dialogo!

Il dialogo deve essere reso possibile, ma la sua efficacia dipende dal punto di vista in cui ci si pone. Si intende con ciò sottolineare che il dialogo potrebbe servire a poco se il punto di vista da cui si parte è quello di chi sostiene che una tesi vale l’altra.

Il relativismo, in sostanza, affievolisce le difese culturali e ci pone e ci rende inclini alla resa, perché ci fa credere che non c’è niente per cui valga la pena di combattere e rischiare.

In tale contesto, la riscoperta di ciò che ci costituisce, di quell’originario dato culturale ed antropologico, consolidato da secoli, che è la nostra storia può essere fondamentale proprio al fine di meglio recepire ed amalgamare, in quanto compatibili, le novità che si affacciano sul nostro cammino.

Ci vuole sicuramente molto tempo perché un’autentica integrazione possa realizzarsi e su questa difficile strada la concessione con " rito più o meno abbreviato" del documento della cittadinanza non è che uno dei momenti, ma sicuramente non quello determinante!

(*) Contributo già pubblicato ne "il commento" del 28.12.2006, (www.ilcommento.it)

 

19 luglio 2007