Protezione civile: tipologia di rischi e ripartizione delle competenze amministrative
La tematica della ripartizione delle competenze amministrative in tema di protezione civile è senza ombra di dubbio un argomento di grandissima attualità. Nella società contemporanea infatti, spicca la centralità e la delicatezza di tale materia, in un contesto caratterizzato da rapide trasformazioni e da una forte accelerazione nello sviluppo delle tecnologie, delle risorse energetiche ed umane, degli insediamenti e delle metodologie di lavoro. In conseguenza di ciò ai rischi tradizionalmente intesi di origine naturale si vanno aggiungendo rischi derivanti dalle stesse attività e trasformazioni antropiche.
Tutto ciò porta la società moderna a diventare una società dei “grandi rischi”. Tale sviluppo è accompagnato tuttavia da un’inadeguata e insufficiente tutela del territorio contrariamente a quanto invece prescritto a livello normativo. Infatti secondo l’art. 3, ult. comma, della legge n. 225/1992 “Le attività di protezione civile devono armonizzarsi, in quanto compatibili con le necessità imposte dalle emergenze, con i programmi di tutela e risanamento del territorio”.
Con il termine rischio si indica la probabilità che un fenomeno potenzialmente dannoso possa avvenire in un determinato luogo ed in un determinato tempo provocando un danno. Il rischio, nella sua concretizzazione, è determinato dal mutamento dell’ambiente fisico causato da processi naturali o dalle attività umane e pertanto per rischio dobbiamo intendere tutto ciò che possa determinare un evento che metta a repentaglio l'integrità della vita, dei beni, degli insediamenti e dell'ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi e da altri grandi eventi. La calamità (naturale o umana) o per meglio dire pubblica, è costituita da “ogni fatto o evento distruttivo dal quale conseguono effetti dannosi per una pluralità di persone, con riferimento alla vita e ai beni”. Considerando il dato normativo l’art. 2 della legge n. 225/1992 introduce una triplice tipologia di eventi che vengono distinti per classi generali che potenzialmente abbracciano la totalità dei fatti concreti che a tali eventi sono riferibili, in considerazione del fatto che la tipologia degli eventi si fonda non sulla natura intrinseca degli stessi, che non è possibile definire aprioristicamente, ma piuttosto sulla competenza dei poteri pubblici che si attivano per fronteggiarli al loro concreto verificarsi. Ed in effetti gli eventi sono distinti a seconda che richiedano, per essere gestiti, interventi attuabili da singoli o più enti e amministrazioni competenti in via ordinaria nelle ipotesi previste dalle lettere a) e b), oppure con strumenti e poteri straordinari, nei casi della lettera c).
A partire dal 1992 con la legge n. 225/1992, istitutiva del “Servizio Nazionale di Protezione Civile”, si fissano le fondamenta del moderno sistema di protezione civile con una legge innovativa che, rispetto al passato, in cui si erano privilegiati gli aspetti del soccorso e dell’assistenza (legge n. 996/1970), privilegia invece gli aspetti relativi alla previsione e prevenzione dei rischi e definisce compiutamente le competenze di tutti i soggetti coinvolti a livello centrale e periferico.
Nel corso degli anni però la materia ha affrontato incerte sovrapposizioni a livello normativo che, modificando la ripartizione delle competenze soprattutto a discapito del Prefetto, o hanno del tutto ignorato la figura prefettizia, non si capisce se volontariamente o meno (D.Lgs. n. 112/1998), oppure l’hanno considerata, ma senza prendere una posizione “netta” sul punto e in relazione ai soli aspetti dell’ordine e della sicurezza pubblica (legge n. 401/2001). Tali interventi normativi non sempre hanno permesso di stabilire un esatto riparto di competenze soprattutto, in relazione al ruolo del Prefetto per gli eventi calamitosi di livello intermedio (tipo “b”) ed è soprattutto su ciò che si appunta l’attenzione di questo scritto.
Prima di cominciare ad addentrarsi nella questione occorre ben delineare il concetto di protezione civile cercando di mettere poi in luce, seppur schematicamente, la ripartizione dei “compiti” tra il livello statale, comprendente la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Il Presidente del Consiglio e l’eventuale Ministro delegato, ambito in cui opera anche il Dipartimento della protezione civile, ed il livello territoriale in cui operano la Regione, la Provincia, il Comune e soprattutto il Prefetto.
Per ben comprendere il significato del termine “protezione civile” è bene anticipare come tale concetto presenti “una sua intrinseca problematicità” in quanto si riferisce ad una sfera della vita sociale soggetta alla incisiva influenza di istanze diverse provenienti da vari settori. Pertanto prima di effettuare qualsiasi tentativo di fornirne una compiuta definizione, bisogna innanzitutto anticipare come la “delimitazione” di tale termine si presenti ardua ed in continua evoluzione mentre solo in tempi recenti si vada stabilizzando, soprattutto in relazione alle problematiche connesse con la politica del territorio.
Preliminarmente è rilevante partire dal più ampio concetto di “difesa nazionale” nella duplice accezione di “difesa militare” e di “difesa civile”. Tralasciando la difesa militare, il cui esame esula dall’oggetto di questo breve scritto, appare invece utile differenziare le attività di difesa civile da quelle di protezione civile, termini che nella pratica spesso vengono confusi ed utilizzati promiscuamente. Si tratta di due strutture notevolmente diverse, di due sistemi distinti nell’ambito dei quali le autorità di riferimento non coincidono in quanto individuate nel Ministero dell’Interno per la Difesa Civile e nella Presidenza del Consiglio dei Ministri, salvo il caso di delega, per la Protezione Civile.
La “difesa civile” è un sistema di organizzazione generale della difesa non militare del territorio nazionale rispetto a minacce non riconducibili nell’ambito delle calamità naturali, riferendosi a tutte le situazioni che a livello nazionale o internazionale possono mettere a rischio la sicurezza dello Stato e gli interessi nazionali. La difesa civile è infatti costituita dal complesso delle attività civili svolte dalle strutture istituzionalmente preposte, al fine di salvaguardare la sicurezza dello Stato e l’incolumità della popolazione, di tutelare i beni e di assicurare la capacità di sopravvivenza dell’apparato economico, produttivo e logistico della Nazione in occasione di uno stato di crisi, interna o internazionale, con una organizzazione verticistica, formata quasi esclusivamente da componenti ed organizzazioni statali, con propria gerarchia e con esigenze di intelligence, sicurezza e riservatezza. La difesa civile, che non nasce da una calamità naturale, attiene alla sicurezza dello Stato comprendendo tutte le situazioni emergenziali che derivano da atti definibili di “aggressione alla nazione” avendo come presupposto un evento bellico o parabellico. Si tratta cioè di un sistema protetto sottratto al decentramento e sottoposto alla legislazione esclusiva dello Stato. Il D.Lgs. 30/7/1999 n. 300 all’art. 14 attribuisce la competenza in materia di difesa civile al Ministero dell’Interno che la esercita attraverso il Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile. La nozione di difesa civile ha subito nel corso degli anni un’evoluzione che ne ha modificato i caratteri connotandola quale strumento volto a garantire la salvaguardia degli interessi vitali del Paese e ciò vale anche e soprattutto oggi in relazione ai drammatici eventi del terrorismo internazionale.
La “protezione civile” attiene invece alla salvaguardia del territorio, al soccorso, all’assistenza, alla tutela ed al recupero di beni a fronte di calamità naturali o antropiche. È un sistema aperto, oggetto di decentramento regolato dalla legislazione concorrente di Stato e Regioni.
Ciascuna delle diverse componenti che costituiscono tale sistema ha una propria organizzazione e gestione funzionale, sottoposta soltanto, per il livello nazionale, alle indicazioni operative del Dipartimento della Protezione Civile ed a livello locale al coordinamento del Prefetto e del Sindaco, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze delineate dalla legge n. 225/1992, artt. 14 e 15. In concreto il concetto di difesa civile e quello di protezione civile sovente finiscono con il sovrapporsi, determinando una serie di problemi di coordinamento a livello istituzionale. Ciò in particolare è avvenuto da quando la competenza in materia di protezione civile è passata dal Ministero dell’Interno alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.
A riguardo peculiare è la figura del Prefetto che non solo è autorità provinciale di difesa civile, ma che anche ha la direzione unitaria dei servizi di emergenza della protezione civile in quanto autorità provinciale di protezione civile. Il distinguere tali attività è operazione di non poco conto.
Nel 1992 con la legge n. 225, recante "Istituzione del servizio nazionale della protezione civile", vengono fissati i principi fondamentali prevedendo la tipologia degli eventi e le attività di protezione civile. La norma in esame riconosce e disciplina il volontariato, introduce disposizioni relative allo stato di emergenza ed al potere di ordinanza, individua le componenti, gli organi centrali e le strutture operative nazionali del Servizio Nazionale di Protezione Civile, ma soprattutto delinea le competenze di Regioni, Province, Prefetto, Comune e Sindaco. La protezione civile intesa in senso tradizionale è costituita da tutte le attività relative alla gestione dell’emergenza mentre in un’accezione più moderna si riferisce anche a tutte le attività di previsione e prevenzione. Si tratta di un sistema coordinato di competenze al quale concorrono le amministrazioni dello Stato, le Regioni, le Province, i Comuni e gli altri Enti locali, gli enti ubblici, la comunità scientifica, il volontariato, gli ordini e i collegi professionali e ogni altra istituzione, anche privata e nell’ambito della quale assume particolare rilievo la funzione del Prefetto. Dopo la legge n. 225/1992 di rilievo sono poi le disposizioni contenute nel Capo VIII del Titolo III del decreto legislativo 112/1998 (artt. 107-109), con il quale si è data attuazione alla riforma amministrativa di cui al Capo l° della legge 15 marzo 1997, n. 59 determinando, in particolare, gli ambiti di rispettiva responsabilità dello Stato, delle Regioni e degli Enti Locali per quanto riguarda compiti e funzioni in materia di protezione civile.
A livello centrale, lo Stato assicura il coordinamento, l’indirizzo e la promozione delle attività delle diverse componenti ed ha la responsabilità diretta in occasione del verificarsi di eventi calamitosi gravi ed estesi (tipo c), anche attraverso l’esercizio del potere di ordinanza extra ordinem. Alla Regione spetta l’attuazione degli “interventi urgenti” per le emergenze relative al proprio territorio (tipo b), nonché ha rilevanti compiti in materia di previsione e prevenzione oltre che di ricostruzione delle zone sinistrate. Tuttavia tale attribuzione alla Regione degli “interventi urgenti” per gli eventi di tipo b) non comporta anche la “direzione unitaria dei servizi di emergenza da attivare a livello provinciale” (articolo 14, secondo comma, lett. b, legge n. 225/1992) che resta di competenza del Prefetto.
Per gli eventi di tipo b) rileva la competenza della Provincia che è responsabile in particolare della pianificazione, nonché ha funzioni di vigilanza sulla predisposizione, da parte delle strutture provinciali di protezione civile, dei servizi urgenti, anche di natura tecnica, da attivare in caso di eventi calamitosi di tipo b);
In relazione a questi due ultimi filoni di competenza, cioè la pianificazione provinciale di emergenza per gli eventi di tipo b) e la vigilanza sui servizi tecnici provinciali di emergenza riferiti esplicitamente, questa volta, agli eventi di tipo b), sono sottratti alla competenza prefettizia, a cui appartenevano nell’ambito di un organico quadro di riferimento, che assegnava al Prefetto l’intera gestione delle emergenze di livello provinciale.
Nel Comune, che costituisce il primo livello di intervento, il Sindaco, in qualità di autorità locale di protezione civile, è competente in ordine alle attività relative al proprio territorio ed in particolare alle attività di primo soccorso: si tratta degli eventi di tipo a).
In risposta ad un quadro normativo non sempre puntuale e preciso oggi sul territorio si va affermando un vero e proprio “modello delle intese” in quanto stanno assumendo un significativo rilievo non solo gli accordi tra Stato e Regioni che chiariscono gli ambiti di rispettiva competenza descrivendo dettagliatamente le procedure operative per la gestione dell’emergenza, ma anche e soprattutto numerosi protocolli di intesa (e altre forme di accordo) che le Prefetture stipulano non solo con lo Stato, ma anche e soprattutto con le Regioni e con le Province. Tali intese sono anche finalizzate all’organizzazione ed alla gestione unificata, spesso in via sperimentale, di Sale operative comuni di protezione civile da parte di Prefettura e Provincia. L’intesa nasce anche dalla constatazione che diverse Regioni e Province sono scarsamente attrezzate in termini di organizzazione e gestione dell’emergenza. Si prevede dunque una gestione unitaria ed una utilizzazione coordinata di una Sala operativa comune oltre ad un utilizzo congiunto di personale, mezzi e risorse. Tale Sala operativa dovrà poi collegarsi ed interconnettersi con la Sala operativa regionale e sviluppare collegamenti con tutta l’organizzazione comunale ed intercomunale di protezione civile della Provincia, anche avvalendosi dell’apporto del volontariato.
La protezione civile oggi ha acquisito una sua autonomia ed ha un contenuto tipico costituito non solo dalla gestione delle emergenze ad evento verificatosi, vale a dire attività di soccorso e di superamento dell’emergenza, ma anche e soprattutto dalle attività di previsione e prevenzione delle molteplici ipotesi di rischio. È dunque costituita da un’attività che si configura come una rete di rapporti e di collaborazioni, di sinergie e di contributi complementari e si esplica attraverso quattro diverse fasi. Sono infatti attività di protezione civile quelle volte alla previsione e prevenzione dei vari tipi di rischio, al soccorso delle popolazioni sinistrate e ogni altra attività necessaria ed indifferibile diretta a superare l'emergenza.
Così come già era avvenuto in altri Paesi, anche in Italia la protezione civile è andata sempre più strutturandosi come un sistema di rete in cui confluiscono competenze istituzionali diverse, che coinvolgono tutti i livelli di governo centrale, regionale e locale ed allo stesso tempo, in un sistema che va avviandosi verso un elevato grado di autonomia e di decentramento non è possibile prescindere dal coinvolgimento di tutte le competenze utili per fronteggiare adeguatamente un evento calamitoso. Il Prefetto, in questo contesto costituisce il punto di riferimento fondamentale a livello provinciale per il coordinamento di tutte le attività finalizzate alla tutela del territorio e della salute dei cittadini.
A seguito della riforma del Titolo V, parte seconda, della Costituzione avvenuta con la legge costituzionale del 18 ottobre 2001 n. 3, secondo l’art. 117 della Costituzione la materia della protezione civile rientra fra le materie a competenza concorrente e per la prima volta viene “costituzionalizzata” nel nuovo elenco dell’articolo 117: pertanto la potestà legislativa per tali materie spetta alle Regioni “salvo che per le determinazioni dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”.
Secondo l’art. 1, terzo comma, della legge n. 131/2003 in difetto dei principi fondamentali determinati espressamente dallo Stato ci si dovrà riferire a quelli desumibili dalle leggi statali in vigore ed in ogni caso il Governo viene delegato ad adottare entro un anno, uno o più decreti legislativi ricognitivi dei principi fondamentali desumibili dalla legislazione vigente secondo i principi di esclusione, adeguatezza, chiarezza, proporzionalità ed omogeneità. Le Regioni quindi diventano sempre più protagoniste ed in ambito regionale le attività di pianificazione, previsione e prevenzione di rischi naturali e antropici nonché di gestione delle situazioni di emergenza fino al ritorno a condizioni di normalità, si armonizzano e integrano nel Sistema regionale di protezione civile.
Nel 2001 il decreto-legge n. 343/2001, oltre a modificare la legge n. 225/1992, reca "Disposizioni urgenti per assicurare il coordinamento operativo delle strutture preposte alle attività di protezione civile e per migliorare le strutture logistiche nel settore della difesa civile”, e viene convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 2001, n. 401 che ha individuato nel Ministro dell’Interno l’unica autorità politica alla quale il Presidente del Consiglio può delegare le funzioni di protezione civile. Ha, inoltre, ribadito il ruolo del Prefetto relativamente alla gestione sul territorio delle emergenze di rilievo nazionale ed ha previsto la competenza del Ministero dell’Interno in materia di politiche di protezione civile. Tale D.L. 343/2001 convertito nella legge 401/2001 conferma la vigenza dell’art. 14 della L. 225/1992 e reca un triplice riferimento, all’art. 5, comma IV, IV bis e V, alle funzioni del Prefetto in materia, ma specificate soprattutto in rapporto alla tradizionale funzione conservativa di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica.
Più di recente si colloca il decreto-legge n. 245/2002, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 Dicembre 2002, n. 286 concernente gli “interventi urgenti a favore delle popolazioni colpite dalle calamità naturali nelle regioni Molise, Sicilia e Puglia, nonché ulteriori disposizioni in materia di protezione civile” in relazione agli eventi sismici dell’Ottobre del 2002, con cui è stato attribuito al Capo del Dipartimento della protezione civile il potere di impiegare direttamente le componenti operative di protezione civile con particolare riferimento al Corpo nazionale dei vigili del fuoco ed alle forze dell’ordine, nonché l’esercizio del potere di ordinanza. Ambedue i poteri possono essere esercitati ancor prima della delibera dello stato di emergenza.
Un vero ridimensionamento del ruolo svolto, almeno potenzialmente in caso di delega, dal Ministero dell’Interno si è avuto di recente con il decreto-legge 31 maggio 2005, n. 90, convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge n. 152/2005 recante “Disposizioni urgenti in materia di protezione civile” che ha ulteriormente integrato le suddette disposizioni ed in particolare ha stabilito all’art. 4 relativo alla “Disciplina e potenziamento del Dipartimento della protezione civile” l’abrogazione delle “disposizioni previste dagli articoli 1, limitatamente alle politiche di protezione civile, 3, 5, 6-bis del decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 2001, n. 401, recanti riferimenti al Ministro od al Ministero dell'Interno”. Tale provvedimento ha comportato l’abrogazione, attraverso un complesso sistema di rinvii a normativa pregressa, del riferimento alla competenza del Ministero dell’Interno in materia di politiche di protezione civile e l’abrogazione dell’istituzionalizzazione della delega di protezione civile nei confronti del Ministro dell’Interno. Oggi la competenza può essere esercitata da qualsiasi Ministro su delega del Presidente del Consiglio.
Tale complessa articolazione è indicativa del fatto che la protezione civile si configura come una materia a competenza mista, ma allo stesso tempo sottolinea come si sia eroso il campo di azione, perlomeno a livello legislativo, del Ministero dell’Interno e del Prefetto. Dal citato complesso normativo in tema di protezione civile non emerge comunque chiaramente il ruolo del Prefetto in Provincia nella gestione dell’emergenza.
Le tematiche di protezione civile inevitabilmente oltre che assumere notevole rilievo a livello nazionale interessano anche l’Europa. Il ruolo principale del meccanismo europeo per la protezione civile, introdotto dalla decisione del Consiglio del 23 ottobre 2001, che istituisce un “meccanismo comunitario inteso ad agevolare una cooperazione rafforzata negli interventi di soccorso della protezione civile”, è quello di facilitare la cooperazione negli interventi di assistenza di protezione civile negli eventi di maggiore emergenza che possono richiedere risposte urgenti ed immediate. Gli strumenti utilizzati in ambito UE sono tre: il Centro di Informazione e Monitoraggio, il Sistema Comune di Informazione e Comunicazione di Emergenza ed infine il “programma di formazione” volto a migliorare il coordinamento degli interventi di soccorso della protezione civile. Gli interventi sono poi realizzati su richiesta da parte dello Stato colpito dall’evento calamitoso. La complessa articolazione prevista in tema di protezione civile, a livello nazionale così come europeo, è indicativa del fatto che a tutti i livelli, centrale e periferico, occorre una corresponsabilizzazione sui temi di protezione civile per meglio armonizzare, in base ai dettami della sussidiarietà verticale ed orizzontale, i ruoli e la capacità operativa dei molti soggetti coinvolti, pubblici e non solo. Un dato che spicca con grande evidenza è come a livello di Nazioni europee coinvolte la protezione civile sia gestita nei singoli Stati, dall’equivalente del Ministero dell’Interno nella maggioranza dei casi. Ciò pone senz’altro riflessioni sull’assetto italiano dove si verifica il dualismo tra la difesa civile, affidata al Ministero dell’Interno da una parte e la protezione civile, affidata all’apposito Dipartimento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dall’altra.
Tutto ciò accade mentre si va configurando un vero e proprio diritto alla protezione civile e mentre il Servizio Nazionale di Protezione Civile è considerato tra l’altro un servizio pubblico essenziale. Esistono fondamentalmente due problemi in riferimento: da un lato la perdita di competenze del Ministero dell’Interno in tema di protezione civile e dall’altro il ridimensionamento della figura del Prefetto in periferia in particolare per le emergenze di tipo b) con un ampliamento delle funzioni delle Regioni, competenti per gli “interventi urgenti” e delle Province a cui passa la pianificazione provinciale di emergenza e la vigilanza sulla predisposizione, da parte delle strutture provinciali di protezione civile, dei servizi urgenti, anche di natura tecnica, da attivare in caso di eventi calamitosi di tipo b).
In relazione al primo problema per quanto concerne le missioni del Ministero dell’Interno, è necessario che vengano concordate forme di collaborazione e di intesa tra l’esercizio della funzione di difesa civile, propria del Ministero dell’Interno e quella di protezione civile, affidata alla Presidenza del Consiglio, con modalità di coordinamento tra le stesse in considerazione del fatto che la linea di demarcazione tra le due emergenze è molto sottile. Bisognerebbe, pertanto concertare formule sperimentate di coordinamento tra le due strutture, ma sarebbe ancora meglio, affidare entrambe le funzioni ad un unico organo nell’interesse generale della collettività. Solo la cooperazione costruita quotidianamente può costituire garanzia di concertazione e quindi può consentire la realizzazione di un’organizzazione efficiente nel fronteggiare la fase operativa dell’emergenza. Perché questo avvenga occorrono non solo strumenti normativi che ne definiscano le linee di operatività (ad es. programmi, intese, accordi ecc.), ma è anche necessario un soggetto istituzionale dotato della necessaria sensibilità e delle strutture idonee. Tali caratteristiche si rinvengono senza ombra di dubbio nel Ministero dell’Interno a cui la legge affida la funzione di amministrazione generale e di supporto dei compiti di rappresentanza generale del governo sul territorio. Il problema potrebbe essere superato assegnando al Ministero dell’Interno, (e ciò in controtendenza rispetto ai recenti sviluppi normativi), già titolare della difesa civile, anche una funzione specifica nel settore della protezione civile. Il problema prospettato è estremamente attuale e richiede una scelta politica: spetta perciò al Parlamento indicare le soluzioni più adeguate.
In relazione al secondo problema, cioè la perdita di competenze prefettizie a livello provinciale, a fronte del quadro normativo delineato, così incerto e complesso, in ordine alla competenza sulle emergenze intermedie di livello provinciale, la soluzione organizzativa più efficace dal punto di vista operativo è quella basata sull’attuazione di un principio collaborativo tra tutte le amministrazioni operanti sul territorio che ha portato alla inaugurazione del “modello delle intese” a cui si accennava in precedenza, con cui la Prefettura stipula varie forme di accordo in particolare protocolli di intesa con gli Enti locali in modo da realizzare un sistema integrato di protezione civile che possa fornire risposte tempestive alle necessità emergenziali e che possa garantire risorse adeguate, evitando nel contempo il rischio di sovrapposizioni funzionali.
In conseguenza di ciò le confermate competenze prefettizie e quelle degli enti territoriali devono “convivere” e devono essere finalizzate al raggiungimento di obiettivi comuni da perseguire in termini di prevalente interesse pubblico. Solo così si potrà realizzare una integrazione di risorse che il legislatore, anche costituzionale, ha ritenuto indispensabile in tema di protezione civile. Verificatosi l'evento calamitoso si dovrà, pertanto, dare attuazione a quanto pianificato, in base alle previsioni dell'art. 108 del D.Lgs. n. 112/1998, a livello locale dagli enti pubblici territoriali per quanto di rispettiva competenza, con il concorso, se necessario, dell'esercizio dei poteri prefettizi, volti, in particolare, all'attivazione delle risorse statali presenti sul territorio. Per questo risulta, pertanto, utile e opportuno, anche in considerazione delle rispettive conoscenze ed esperienze, che si proceda sempre con la massima collaborazione tra la Prefettura e la Provincia nella redazione operativa della pianificazione di emergenza di rispettiva competenza e che tali forme di collaborazione vadano attuate anche per assicurare la massima efficacia della risposta a situazioni di emergenza, in relazione alle risorse disponibili.
Il modello affermato dal D.Lgs. n. 112/1998 riconduce le grandi crisi al livello statale, ma definisce poi il ruolo di Regioni ed Enti locali con una rigida architettura secondo una “successione a cascata” di interventi che coinvolge Regione, Provincia e Comune. Questo modello è poco calibrato sulle specifiche esigenze degli interventi di protezione civile, funzione caratterizzata da una forte complessità, ma soprattutto trascura un punto fondamentale: quello di individuare uno “snodo istituzionale” che possa attivare il sistema di protezione civile individuando l’ente competente e gli interventi di sostegno che si rendano necessari.
In conclusione spicca la centralità e la delicatezza di una materia quale quella della protezione civile il cui presupposto culturale è che il rassegnato fatalismo, con cui per secoli sono state accettate tutte le calamità, appartiene al passato. Una società moderna deve essere capace di prevenire e operare nell’interesse della collettività, garantendo quei sistemi di difesa che la scienza, la tecnologia e l’organizzazione pongono a disposizione nella preservazione della vita e dei beni. In questo quadro emerge il valore e l’interesse primario che il nostro Paese deve oggi riservare ai problemi della protezione civile, che ha appunto il compito di tutelare l’integrità della vita, i beni e l’ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti dalle calamità pubbliche. Gli sviluppi futuri della materia non sono ancora chiaramente definibili; in ogni caso sarà necessaria una ridefinizione di tutto il sistema mediante una legge generale anche in considerazione degli ultimi sviluppi costituzionali, con una chiara definizione dei compiti e delle responsabilità di tutti gli attori coinvolti. Quella della protezione civile è una materia che comprende funzioni che potranno essere meglio esercitate solo se a livello centrale si ricondurranno ad un unico organo le competenze e le funzioni in tema di difesa civile e di protezione civile e attraverso un potenziamento di una figura che, a livello periferico, possa costituire lo snodo istituzionale di attivazione del sistema. Le candidature del Ministero dell’Interno per il livello centrale e del Prefetto per quello periferico appaiono a riguardo come le più naturali.
1 giugno 2007
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